Estranei
"Stefano!" - la voce di Giuseppe risuonò per l'intera villa.
Poco dopo la porta della camera del ragazzo si spalancò rivelando la figura alta dell'uomo.
"Figliolo? La carrozza è già pronta, se non ci
affrettiamo, finiremo con l'arrivare in ritardo alla festa in onore del
fidanzamento della giovane Cecilia e non sarebbe educato, soprattutto
da parte tua."
Stefano, seduto al suo scrittoio, si voltò a guardare il padre e annuì.
"Avete ragione. Arrivo tra un attimo, devo soltanto annotare brevemente una cosa." - spiegò.
Giuseppe sospirò e gli intimò con lo sguardo di
sbrigarsi, dopodichè si richiuse la porta alle spalle e
marciò via lungo il corridoio.
Stefano allora intinse la penna d'oca nell'inchiostro e prese a scrivere.
Caro diario,
sono trascorsi oggi due anni dalla partenza di Damiano ed io ho appena
riposto nella solita scatola nascosta nel fondo del mio armadio la
ventiquattresima lettera che gli ho scritto, ma non ho mai spedito.
C'era scritto il solito, quello che l'ultima volta che abbiamo parlato
ho cercato di fargli capire e che vorrei continuare a ripetergli
adesso, cioè che voglio che sia felice.
Credo che in fondo lo sappia, però. Mio fratello mi conosce, non
penserebbe mai che voglio il suo male perchè sa che non è
così. O almeno è questo che mi piace ancora pensare dopo
due anni di silenzio.
Mi rendo conto, però, che in parte la colpa è anche mia.
Lui conosce me, ma anch'io conosco lui e forse dovevo o dovrei farlo io
il primo passo, magari inviandogli una di quelle lettere. Però
solo a pensarci provo paura. Ho il timore che si rifiuti ancora di
capirmi e che le nostre strade si dividano ancora di più.
A volte mi sento sbagliato, sento sbagliato il nostro rapporto e tutti
i pensieri in merito da cui mi lascio affliggere. Mi capita spesso di
soffermarmi a guardare il legame che lega alcuni compagni della mia
stessa età ai loro fratelli maggiori o minori che siano e mai
nulla mi ricorda me e Damiano.
E' facile pensare che sia stata la vita a renderci così
indispensabili l'uno per l'altro, che se nostra madre fosse guarita e
sopravvissuta alla malattia le cose sarebbero state diverse, ma
spesso....non so...ho la sensazione che noi due siamo così
perchè siamo diversi e che, in un modo o nell'altro, sarebbe
sempre stato quello il legame che ci avrebbe unito. Non so più
se è un bene, se è una cosa di cui rallegrarmi. Legami
simili portano immense gioie, comprensione totale, la certezza che ci
sarà sempre qualcuno sul quale contare, ma portano anche grandi
complicazioni, grandi distanze e grandi paure quando le cose non vanno
per il meglio.
Mi sento confuso. E' difficile capire cosa fare. L'unica cosa che
vorrei è potergli parlare, appianare ogni cosa rimasta in
sospeso, dimostrargli che davvero posso essere indipendente da lui e
che di sicuro lo sono da nostro padre e vorrei non deluderlo ancora.
Damiano....è fragile...
Qualche ora più tardi, mentre si aggirava tra la folla di
nobili radunatisi nella lussuosa villa dei marchesi Venotti alla
periferia nord di Firenze, Stefano ripensava ancora alla lettera
scritta nel pomeriggio, alle parole che aveva riversato nel suo diario
e a suo fratello. Era difficile non pensarci in quel particolare giorno,
nonostante si stesse sforzando con tutto se stesso di mostrarsi
spensierato e felice per la sua amica e il suo fidanzamento.
Cecilia e Ludovico Venotti si erano conosciuti circa sei mesi prima in
occasione di una festa che, solo in seguito, si era scoperto fosse stata
organizzata di proposito dai loro genitori nella speranza che si
conoscessero e trovassero piacevole l'uno la compagnia e la presenza al
proprio fianco dell'altra.
Si diceva, infatti, che entrambi i ragazzi avessero in ogni modo
cercato di imporsi sui genitori per evitare un matrimonio combinato e
d'interesse, quindi le due coppie di marchesi avevano fatto ricorso ai
sotterfugi e quando la cosa era venuta alla luce sia Cecilia che
Ludovico avevano già scoperto di provare dei forti sentimenti
d'affetto l'uno per l'altra per tirarsi indietro dinanzi alla concreta
prospettiva di una vita non soltanto agiata, ma anche felice.
Stefano era contento per lei. Crescendo, infatti, aveva capito che
ciò che lo legava alla ragazza era una forte amicizia che
all'inizio, per la giovane età e la totale inesperienza sia nei
sentimenti sia nel rapportarsi con il sesso opposto, avevano entrambi
scambiato per qualcosa di ben più profondo. Lei era stata il suo
primo amore, ma si era trattato di un qualcosa di così puro e
totalmente innocente che delle volte anche il termine "amore" non gli
sembrava adatto. Preferiva definire il loro rapporto come una
connessione platonica a livello emotivo. Si erano capiti. Cecilia era
stata la prima persona, dopo suo fratello, con la quale aveva sentito
di potersi aprire e questo gli aveva insegnato molto, gli aveva fatto
capire, sopra ogni altra cosa, che esisteva un mondo al di fuori dei
confini della sua villa, un mondo fatto di persone diverse le une dalle
altre che valeva la pena incontrare e conoscere. Se adesso si sentiva
più forte e sicuro, in un certo senso, lo doveva a lei.
"Ti vedo giù di morale. Non ti è permesso essere giù di morale alla mia festa di fidanzamento."
Cecilia lo sorprese arrivandogli alle spalle. Stefano si voltò a guardarla e le sorrise.
"Hai ragione, scusa. Ancora congratulazioni, a proposito. Sono felice per te." - le disse.
"Lo so che lo sei. E mi piacerebbe poterti dire lo stesso, ma come
posso essere felice per te se tu per primo non sei felice? C'è
qualcosa che ti angoscia, lo vedo." - si sentì rispondere.
Stefano scosse la testa, ma il sorriso gli morì sulle labbra e si trasformò in una piccola smorfia.
"Dovresti tornare alla festa e non preoccuparti per me."
"Lo farei anche, ma ero venuta per chiederti di ballare con me e adesso
c'è un problema: un compagno di danze musone non lo voglio,
quindi prima parliamo. Si tratta di tuo fratello? Guarda che lo so che
lo so che questo è un giorno strano anche per te, anche se non
per i miei stessi bei motivi ovviamente."
Stefano tentò invano di farle cambiare argomento, di convincerla
a tornare ai suoi invitati che presto l'avrebbe raggiunta e avrebbero
potuto ballare così come lei desiderava, ma Cecilia era testarda
quindi alla fine sospirò e cedette, annuendo.
"Hai avuto delle notizie da lui?" - gli chiese.
Stefano scosse la testa.
"No, nessuna notizia. Non da lui direttamente, comunque. Le poche cose
che sappiamo ci vengono dette dal marchese Carpin quando riceve notizie
da suo fratello lì a Venezia presso cui è ospite Damiano
e si lascia sfuggire qualcosa su di lui." - rispose, scrollando le
spalle mentre si appoggiava al lungo tavolo imbandito alle sue spalle.
Cecilia afferrò un acino d'uva bianca e lo mangiò distrattamente prima di tornare a parlare.
"Quindi non ha mai risposto neppure a tutte le lettere che gli hai inviato?"
"Lettere? Quali lettere?"
"Quelle che mi hai detto che gli scrivi ogni mese, ricordi?"
Ah! Già! Quelle che era stato costretto a confessarle che
scriveva perchè qualche mese prima lo aveva scoperto sul portico
della villa mentre rimetteva l'ennesima lettera al sicuro nella sua
scatola, ecco quali.
Stefano sospirò nuovamente socchiudendo per un attimo gli occhi.
"No, non ha mai risposto e neppure avrebbe potuto visto che non gli ho mai inviato nulla." - confessò.
Cecilia spalancò gli occhi, per un attimo parve confusa, ma
presto si riprese e gli assestò un leggero buffetto su un
braccio.
"Non gliele hai mai inviate? E potrei sapere il perchè?"
"Perchè....tu non lo conosci, Cecilia. Probabilmente avrei
soltanto peggiorato le cose insistendo a dire ciò che ha
travisato e per cui si è sentito tradito due anni fa quando
è andato via."
"Oh, ma andiamo, smettila di rendere tutto così difficile!" - lo
rimproverò lei - "Và a Venezia e parlaci di persona se
temi tanto che possa fraintendere la parola scritta."
"Non vuole vedermi!"
"E tu come fai a saperlo se non ci parli da due anni?"
"Appunto per questo lo so! E poi...non è esattamente vero che
non ha mai scritto. L'ha fatto in occasione di tutte le sacre Feste.
Mandava un biglietto alla villa e non mancava mai di farci sapere casualmente che
non avrebbe potuto raggiungerci e noi nemmeno perchè aveva in
programma di partire per questa o quella città e con questo o
quell'altro conoscente. Si è tenuto lontano e ha tenuto lontani
me e nostro padre. Non vuole vedermi. Se programmassi un viaggio simile
e lo avvertissi del mio arrivo sono sicuro che non sprecherebbe tempo e
manderebbe subito a dirmi di non partire perchè tanto non lo
troverei..." - rispose Stefano mestamente.
Cecilia scosse la testa e gli poggiò una mano su una spalla,
delicatemente, ma stringendo appena con le dita per fargli capire che
era seria.
"E tu allora non avvertirlo! Arriva di soppiatto e coglilo di sorpresa
come ho fatto io poco fa con te. Hai bisogno di parlare con tuo
fratello, Stefano? E allora fallo. Punto!"
"Non posso partire così....all'improvviso. E poi non è detto che mio padre sarebbe d'accordo."
"Non cercare di trovare scuse che non esistono solo perchè hai
paura di ciò che potresti trovare a Venezia. In questi due anni
sei stato un perfetto giovane conte, tuo padre non può negarti
il suo permesso perchè te lo deve, perchè ormai sei un
uomo capace di prendere le tue decisioni da solo e perchè si
tratta di tuo fratello, se vuoi fargli visita è a tua
discrezione ed è un tuo diritto."
Stefano alzò gli occhi e li incorciò con quelli incoraggianti di Cecilia.
Per il resto della serata non fece che pensare alle parole della sua
amica. Forse lei aveva ragione. Lui indubbiamente sentiva la
necessità di poter tornare a parlare con Damiano come faceva una
volta, ma era vero che un pò temeva ciò che avrebbe
trovato ad attenderlo. Temeva che
nulla fosse più come prima. Temeva che suo fratello avesse
smesso di considerarlo parte della sua vita così come in passato
aveva già fatto con Giuseppe.
Cecilia, però, aveva ragione anche su un'altra cosa: adesso ero
un uomo in grado di prendere le sue decisioni e, in quanto tale, doveva
anche dimostrarsi capace di affrontare le sue paure.
Aspettò che la festa volgesse al termine prima di parlare della
sua decisione con suo padre. Erano in una delle loro carrozze sulla
strada di ritorno alla villa quando prese la parola. Era notte, era
buio e faceva già freddo. Si strinse nelle spalle e tentò
di scaldarsi le mani soffiandoci l'aria calda del fiato.
"Alla festa vi ho visto ridere con un uomo che non mi è mai
parso di incontrare in città. Chi era?" - fece, non per vero
interessamento quanto più per intavolare un discorso dato il
silenzio che regnava.
Giuseppe si ridestò dai suoi pensieri e si voltò a guardare il figlio.
"Ti riferisci di sicuro al barone
Von Swartzschild. Era l'unica faccia nuova alla festa." - fece - "Io
stesso lo conosco soltanto da qualche mese. E' straniero. Tedesco.
Affari di famiglia lo hanno portato a Milano e poi a Firenze dove ci
siamo ritrovati a collaborare. E' un brav'uomo. Mi raccontava della sua
unica figlia scampata per miracolo alla morte dopo aver passato quasi
tutta la vita a letto per la salute cagionevole. Ora sembra essersi
ripresa del tutto ed lui era in vena di festeggiamenti."
Stefano prestò giusto quel minimo di attenzione necessaria al racconto del padre. Annuì e abbozzò un sorriso.
"Mi sembra giusto." - convenne.
Temporeggiò ancora qualche minuto, guardandosi le mani e
strofinandole tra loro, poi tornò ad alzare gli occhi su suo
padre e richiamò la sua attenzione con un leggero colpo di tosse.
"Padre? Ho deciso di partire per Venezia. Voglio vedere Damiano." - disse, infine.
Giuseppe aggrottò la fronte e sospirò.
"Tuo fratello ha sempre fatto intendere chiaramente che non gradisce l'idea di tornare a vederci..." - fece.
"Lo so, ma non mi importa. E' da due anni che non parlo con lui,
non ricevo sue notizie...." - rispose - "Prima o poi dovrà pur
tornare, lo so, ma non voglio che passi ancora altro tempo prima di
rivederlo. E' mio fratello e anche se è lontano fa parte della
mia vita e della nostra famiglia. La distanza non deve pregiudicare
tutto. Non è giusto che le cose vadano così. Voglio
assicurarmi coi miei occhi che sta bene e che ha trovato il modo di
essere felice. E' per questo, dopotutto, che l'ho spinto ad andare via."
Suo padre annuì e, mentre la carrozza di fermava alle spalle
della loro villa, gli poggiò una mano su una spalla e gli diede
una leggera pacca.
"Vedo che sei deciso."
"Si, lo sono." - confermò Stefano.
"E a quando la partenza?"
"Domani stesso. Starò via solo qualche giorno, ve lo assicuro."
Giuseppe sospirò ed annuì nuovamente, ragionevole e stanco.
"Fà preparare subito i bagagli allora." - gli suggerì.
Stefano non se lo fece ripetere e, non appena mise piede in casa,
ordinò che un baule grande abbastanza per un breve viaggio di
qualche giorno gli venisse preparato. Dopodichè fece convocare
uno dei cocchieri, il più giovane tra i due e gli
comunicò che il mattino seguente all'aba sarebbero partiti alla
volta di Venezia.
Fu un viaggio lungo, ma limitando le soste al minimo indispensabile e
spingendo i cavalli alla corsa, Stefano mise piede a Venezia in appena
un giorno e mezzo. Il fratello minore del marchese Carpin aveva
ricevuto un suo biglietto che lo avvertiva del suo arrivo e lo pregava
di non farne parola con Damiano soltanto qualche ora prima, ma lo
accolse cordialmente a braccia aperte dicendosi felice che il suo
ospite ricevesse la sua visita finalmente ed indicandogli la via per la
biblioteca, dove avrebbe potuto trovare suo fratello.
Stefano ringraziò, si scusò educatamente per il poco
preavviso e per il disturbo, lasciò che il suo bagaglio venisse
portato nella camera che gli era stata fatta preparare in fretta da
qualche domestica e poi si avviò lungo il corridoio. A tre metri
dalla porta aperta della biblioteca risentì dopo due anni la
voce di suo fratello.
"Dovresti smetterla di fare resistenza..."
"Ma...potrebbero vederci. Io non dovrei neppure essere qui."
"Il pericolo rende le cose più allettanti, non trovi anche tu?"
"Damiano!"
- la voce della ragazza raggiunse al suo orecchio una nota talmente
stridula che Damiano dovette chiudere gli occhi e voltare di poco la
testa per assicurarsi che il suo timpano non fosse andato in mille
pezzi.
Serena Carpin, la figlia del padrone di casa quasi felicemente in procinto di sposarsi - il "quasi"
era d'obbligo visto che il suo futuro marito era sì dotato di un
patrimonio estremamente cospicuo, ma anche della stazza di un bue e del
cervello di un mulo, il che rendeva la povera ragazza una preda facile
per le sue attenzioni e la soddisfazione delle sue voglie - era carina,
certo, coi suoi capelli biondi e la sua pelle chiara, ma a lungo andare
tendeva ad annoiarlo. Durante i primi tempi del suo soggiorno a Venezia
era stato addirittura piacevole e stimolante passare ore ed ore a
macchinare modi per sedurla e situazioni in in cui mettere in pratica
le sue idee, quantomeno era un buon passatempo nelle giornate vuote, ma
a distanza di due anni perdere ancora così tanto tempo gli pareva
inutile. Se aveva già ceduto, cadendogli letteralmente tra le braccia
molte, moltissime volte, proprio non riusciva a capire che altri
problemi si facesse ancora e, soprattutto, perchè pretendeva che lui
ascoltasse le sue remore. Le titubanze - a detta di Damiano - Serena
doveva farsele venire quando era ancora in tempo, quando aveva ancora
una virtù da preservare.
Strinse maggiormente la presa che le sue
mani avevano sulla vita sottile di lei e fece per attirarla di più a
se, in un ultimo tentativo prima di perdere completamente la pazienza.
Lei, in risposta, sorrise timida e voltò la testa dall'altra parte
quando lui si sporse per baciarla e allora, alzando gli occhi oltre la
sua spalla, Damiano la sentì irrigidirsi.
- Bene! - pensò - Fantastico! E adesso chi è? -
Serena gli diede un piccolo colpetto su un braccio e si divincolò dalla sua presa.
Damiano
sospirò e si preparò alla ramanzina del padrone di casa o, peggio
ancora, alla prevedibile scenata di gelosia da parte di una qualsiasi
delle giovani domestiche che potevano dire di aver goduto delle sue
attenzioni almeno per una notte.
Ciò che arrivò, però, non se l'era immaginato e lo spiazzò: la voce di suo fratello.
"Scusate. Non era mia intenzione interrompere nulla." - fece Stefano.
Sempre educato e attento al prossimo lui.
"No,
no. No! Non avete interrotto proprio niente. Non c'era nulla da
interrompere..." - rispose Serena in tutta fretta per poi scappare
letteralmente via dalla porta laterale dalla quale era entrata in
biblioteca poco prima.
Damiano, allora, represse ogni cosa, ogni
minima sensazione e ogni pensiero causatogli dal risentire la voce di
suo fratello e dalla consapevolezza che era arrivato a Venezia per
cercarlo e si voltò, stampandosi in faccia un sorriso che esprimeva
pura ironia e menefreghismo e che Damiano aveva imparato ad usare alla
perfezione per nascondere ciò che si celava, invece, nel fondo dei suoi
occhi, cioè quanto in realtà gli importasse, quanto gli importasse di tutto."Scusala
tanto, fratellino, a volte dimostra di non sapere proprio cosa sia
l'educazione. Non ha nemmeno lasciato che vi presentassi." - fece.
Stefano scosse la testa e fece qualche passo nella sua direzione, spostandosi dall'uscio della biblioteca.
"Chi era?" - gli chiese.
Damiano scrollò le spalle.
"Serena, la figlia del mio ospite." - rispose.
"La tua fidanzata?"
Ovviamente!
Quasi dimenticava che Stefano era troppo buono per non pensare subito
che, data la situazione in cui li aveva trovati, lei fosse la sua
promessa.
"Assolutamente no!" - esclamò con una leggera risata.
"Allora sei il suo...amante?"
"Le
piacerebbe! Io preferisco considerarla come una distrazione abbastanza
piacevole nei momenti di noia, ma temo che lei creda davvero di potermi
considerare il suo fedele amante. E non c'è da strupirsi, dopotutto
Serena è una giovane donna nobile e, si sa, le nobili già impegnate
tendono a credere che, non appena si rialzano dal letto di un'altro
uomo, questi diventa subito una loro proprietà, il loro amore segreto
sul quale possono avere diritti e pretese anche quando non è così."
"Quindi
stai soltanto giocando coi suoi sentimenti?" - la nota di sconcerto e
forse delusione nella voce di suo fratello, Damiano di certo non se
l'era sognata. Nonostante i due anni passati lontani da lui ad evitare
ogni tipo di contatto, lo conosceva ancora bene come le sue tasche e
quello forse non sarebbe mai riuscito a cambiarlo.
"Sei venuto a farmi la predica, Stefano?"
"No,
ma....con dei sentimenti come l'amore penso che non ci si dovrebbe
giocare." - gli rispose, più mesto stavolta, quasi timido.
"Ma l'amore è...un gioco." - ribattè - "E comunque chi hai mai parlato d'amore? Io non provo affetto per nessuno e di certo non per lei."
"Non è vero che non provi affetto per nessuno." - fece Stefano.
Damiano sorrise appena mentre si risistemava i capelli leggermente in disordine e i polsini di broccato.
"Un
pò presuntuoso da parte tua dire una cosa simile, non credi?" - lo
rimbeccò, poggiandogli una mano su una spalla e schivando egregiamente
il discorso - "Andiamo a pranzo. Avrai fame."
Damiano guidò suo
fratello fino alla porta che dava sul cortile interno della villa e
lasciò detto che sarebbe stato fuori tutto il giorno.
Optò per due
cavalli invece che per una carrozza. In carrozza non avrebbe potuto
estraniarsi come sentiva il bisogno di fare, non con suo fratello
sedutogli di fronte. Doveva trovare la giusta calma per affrontare il
resto di quella visita che sperava vivamente si sarebbe rivelata il più
breve possibile e una cavalcata poteva dargliene l'occasione.
Era da
due anni che lavorava su se stesso, reprimendo il senso di colpa che
sentiva ogni volta che ripensava alla promessa fatta a sua madre. A suo
dire non l'aveva onorata fino alla fine, nonostante Stefano pareva
piuttosto certo del contrario. A dire il vero, Damiano non sapeva dire
neppure se mai un giorno, anche se avesse continuato a vivere a
Firenze, sarebbe riuscito ad onorarla del tutto. Per quanto gli
riguardava, suo fratello avrebbe sempre avuto bisogno di qualcuno che
gli guardasse le spalle, avrebbe sempre avuto bisogno di lui.
Era logico, no? Lui era il fratello maggiore, guardare le spalle a quello più piccolo era quello che doveva fare.
Non poteva essere davvero lui l'unico a crederlo!
Si
sentiva ferito, nonostante fossero trascorsi ben due anni la sensazione
che gli fosse stato portato via qualcosa era ancora lì e bruciava
ancora. Però si era reso conto che forse all'epoca aveva sbagliato ad
addossare tutta la colpa a Giuseppe ed aveva cominciato ad addossare la
maggior parte di colpa a Stefano che aveva voluto allontanarlo....per
cosa? Per il suo bene? Come poteva pretendere di fare il suo bene
ferendolo?
Damiano non era un'ipocrita, non troppo almeno.
Nonostante ciò che aveva detto poco prima, sapeva di aver mentito. Era
vero che non provava assolutamente niente per quell'ingenua di Serena,
ma teneva ancora molto a suo fratello anche se l'orgoglio era più
forte e lo spingeva a non ammetterlo. Un giorno, forse, ci sarebbe
riuscito di nuovo. Un giorno,
forse, avrebbe confessato che lui a Firenze ci era tornato spesso, da
solo, in segreto, così come era partito, per osservare tutto da lontano
così come si era ripromesso di fare.
Un giorno, forse, sarebbe anche riuscito a confessare che in quei due
anni, persino mentre era Venezia, a dispetto della lontananza, non
aveva fatto altro che continuare a tenere d'occhio Stefano,
concentrando ogni sua forza e risorsa lì, nell'unica cosa che sapeva
fare bene e che sentiva essere sua, il suo compito, la sua natura, la sua priorità.
Il
resto, la sua vita, il tempo che gli rimaneva quando non era impegnato
a vegliare su suo fratello lo utilizzava per "rendersi felice".
Dopotutto doveva essere quello lo scopo del suo viaggio, giusto?
Arrivarono
presto in una taverna situata presso il più grande porto della città.
Non era un posto elegante nè raffinato, ma Damiano lì dentro ci aveva
trascorso parecchie serate e notti "felici", quindi perchè non portarci
Stefano in modo da mostrargli la sua nuova vita?
Lasciarono i
cavalli ad un ragazzino tenuto lì come tuttofare e varcarono la porta,
accolti subito dall'odore acre di vino scadente che imbrattava ogni
cosa.
Stefano fece per sfilarsi la giacca, ma Damiano lo fermò con un'occhiata.
"Ti consiglio di tenertela stretta se dopo vuoi ritrovarla." - fece.
Avanzarono
all'interno fino al solito tavolo all'angolo che Damiano occupava quasi
ogni sera prima di recarsi sul retro e gettarsi nel gioco d'azzardo,
che aveva scoperto essere un'altra fida fonte di "felicità" se le cose
giravano a tuo favore.
"Siediti qui." - disse, agitando la mano in
aria affinchè chi era al bancone potesse sapere che era arrivato il
momento di servirlo.
Una delle ragazze ammiccanti della taverna gli
si accostò e Damiano le afferrò la vita, strattonandola e mettendola a
sedere sulle sue ginocchia.
"Chi è lui?" - fece lei - "Ti somiglia molto."
"Il mio fratellino in visita da Firenze. Vedi di tenere a posto le mani che lui è un ragazzo per bene, eh!"
"Ma davvero?"
"Già! Dillo pure alle tue amichette, mi raccomando."
Stefano, nel frattempo, sembrava confuso e smarrito.
La ragazza si spostò leggermente in avanti per sporgersi dal tavolo.
"Non se ne vedono spesso di ragazzi per bene..." - commentò.
Damiano le diede una spinta, pizzicandole un fianco e la rimise in piedi, scostandola con poco grazia.
"Mio
fratello è una merce rara che presto tornerà da dove è venuto, giusto
Stefano? Dopotutto sei venuto qui per controllare che stessi bene, ho
ragione? Per accertarti che fossi felice....Beh! Lo sono. Come potrei
non esserlo ora che sono libero di fare qualsiasi cosa mi piaccia senza
impiccio alcuno."
Mentre la ragazza andava via, Damiano vide la
confusione negli occhi di Stefano aumentare e venire accompagnata da
una forte nota di delusione. Non era quella l'accoglienza che si era
aspettato, lo sapeva bene. Sicuramente non era neppure quello il
fratello che aveva desiderato rivedere, ma, rimanendo a distanza,
quella parte di Damiano, la parte che lui stesso aveva sempre cercato
di tenere a freno perchè così era meglio per Stefano, era venuta fuori
e si era fatta strada senza problemi.
Era timore, era distacco,
era autodifesa, il tutto mascherato da una buona dose di veleno e
sarcasmo che, a suo dire, lo aiutavano nella vita. Erano in pochi
quelli che potevano vantarsi di essere come Stefano - anime buone - e
lui di certo non era tra questi. Per lui era troppo facile provare
rabbia, rancore, disprezzo per essere un'anima buona. Le anime buone
perdonavano, lui non lo faceva, lui si lasciava guidare dall'orgoglio e
dal primo istinto che credeva sempre essere il miglior consigliero,
cadendo spesso nell'errore e non curandosene.
A conti fatti, forse
era stato meglio così, che lui fosse partito per Venezia e che Stefano
si fosse allontanato da lui perchè, a lungo andare, corromperlo sarebbe
stato facile ed inevitabile. Meglio osservare dall'ombra la bontà di
suo fratello senza correre il rischio di intaccarla.
Magari sua madre sarebbe stata contenta ugualmente così.
Lui
avrebbe preso ciò che la vita gli avrebbe offerto. Qualsiasi cosa
sarebbe andato bene e forse un giorno Stefano avrebbe capito tutto e lo
avrebbe accettato, avrebbe accettato il fatto che lui non pretendeva la
felictà per se stesso, anzi, a dire il vero, non pretendeva un bel
niente.
"Damiano..." - mormorò Stefano - "Ma cosa ti è successo? Questo - tutto questo - non sei tu!"
"Certo che sono io, sono sempre stato io! Prima eri soltanto troppo ragazzino per accorgertene." - gli rispose.
Stefano scrollò la testa.
"Sembri...vuoto." - fece.
Damiano aggrottò la fronte.
"Vuoto,
dici? Nient'affatto! Io sono perfettamente soddisfatto di essere dove
mi trovo. La mia vita va benissimo, Stefano. Era questo che volevi
sapere, no?"
"Io volevo sapere se stavi bene, se eri felice, se..."
"Se,
cosa? Cosa vuoi che ti dica? Sto bene! Puoi vederlo tu stesso. Sto
pensando a me stesso, come mi avevi detto di fare. Adesso che lo sai
puoi anche tornartene a Firenze, no? Non hai nulla da fare qui,
fratellino, fidati."
"Ma...se stai bene allora perchè non vuoi tornare a casa, non ci scrivi mai nulla, non ci fai sapere niente di te?"
"Forse
perchè non mi va? Forse perchè mi sono finalmente scrollato Giuseppe di
dosso e voglio vederlo il meno possibile? Forse perchè...com'era che
dicevi? Adesso sei cresciuto e posso lasciarti libero di vivere la tua
vita da solo mentre io vivo la mia?" - rispose Damiano - "Non voglio
litigare con te, Stefano, non mi interessa minimamente farlo. Se voi
restare ancora qui, fai pure. Sappi soltanto che da me non otterrai più
di quello che hai già ottenuto adesso. Ti ho detto che va tutta
meravigliosamente e tant'è." - continuò - "Mi dicesti di andarmene da
Firenze e l'ho fatto, adesso sono qua e seguo le tue direttive, non
puoi sconvolgerti tanto se le cose sono andate diversamente da come
avevi immaginato. Io non avevo bisogno di allontanarmi da Firenze. Lì
avevo un mio posto, un mio ruolo, ma tu hai voluto che ci rinunciassi e
va bene, adesso la mia vita a Venezia mi va bene.
Vedi di non impuntarti su problemi e questioni che non esistono. Non
siamo una famiglia perfetta, non lo saremo mai. Rassegnati!"
Stefano
trascorse altri due giorni a Venezia, ma, esattamente come Damiano gli
aveva detto in quella loro prima discussione, restare lì non era servì
a nulla. All'inizio era convinto più che mai che suo fratello avesse
qualcosa che non andava, poi pian piano si era lasciato persuadere
dall'idea che forse non lo conosceva più tanto bene come in passato.
Forse lui era cambiato. Forse Damiano era cambiato. Forse tutto era
cambiato e doveva farsene una ragione benchè fosse difficile anche
soltanto pensarci.
Rimise piede a Firenze a distanza di sei giorni
dalla sua partenza e Giuseppe lo accolse con un sorriso, rimandando a
dopo qualsiasi domanda sul viaggio soltanto per poterlo informare
subito di una questione che gli stava molto a cuore.
"La sera prima che partissi ti ho parlato del barone Von
Swartzschild e di sua figlia, ricordi? Beh...dal momento che il barone
è costretto a lasciare di nuovo l'Italia per degli affari nonostante
sua figlia avesse espresso il desiderio di fermarsi ancora un pò qui,
ho acconsentito affinchè la ragazza venga a stare alla nostra villa per
tutto il tempo che suo padre impiegherà per ritornare dal suo viaggio.
E' davvero una cosa positiva che tu sia tornato oggi, Stefano, così
avrai tutto il tempo di riposarti per l'arrivo previsto per domani in
mattinata della giovane Katherine."
NOTE:
Ciao a tutti e buon venerdì sera!!!**^^
Eccomi
qui con il nono capitolo appena finito. Vi dico subito che non sono
esattamente convintissima del risultato, ma ormai questa è storia
vecchia visto che non sono esattamente convinta del risultato di ogni
captolo di questa storia.XD E' cortina, ma è stata veramente difficile
riuscire a scriverla, mannaggia a me e alle mie idee contorteXD
Allora....che dire....
Ormai
ci siamo. Il prossimo capitolo sarà l'epilogo. Vi avevo avvertito che
Katherine l'avrei soltanto accennata alla fine perchè, ripeto, la sua
storia con i due fratelli la conosciamo tutti fino alla nausea, non mi
pareva il caso di mettermi a riscriverla.XD
Sul capitolo non ho
molto da dire, serviva essenzialmente per mostrare le conseguenze della
lite dello scorso capitolo e Damon che comincia ad assomigliare sempre
più al vampiro che diventerà tra non molto ormai.
Che ne pensate?
Ringrazio coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo.
In
occasione dell'epilogo, come sempre, non posterò nessuno spoiler quindi
ci "rivediamo" direttamente tra due settimane qui su EFP.
A giovedì 25 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!
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