lunedì 30 luglio 2012

Spoiler "Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 4

Quel giorno il cielo era uggioso. Un banco di nuvole di un grigio tenue copriva l’azzurro ed impediva ai raggi del sole di filtrare e portare luce.
Damiano e Stefano camminavano fianco a fianco, lungo il pendio della collinetta sulla quale era collocato il piccolo cimitero che ospitava una cappella e le tombe di tutti i loro parenti defunti, compresa quella di Margherita.
La leggera brezza proveniente da nord scompigliava loro i capelli e inebriava le narici dei due fratelli del profumo dei fiori freschi e delle foglie ingiallite dall’autunno che si staccavano dagli alberi e danzavano dolcemente fino a toccare il terreno fresco sotto le loro scarpe.
Damiano amava quelle giornate pregne di malinconia e trovava giusto che in un giorno simile ancora una volta il sole avesse deciso rispettosamente di nascondersi, come ogni anno.




Eccomiiiiii!!!!
Ed ecco qui lo spoiler!!!
Non sarà un capitolo triste, promesso.
Un capitolo nostagico si, però, che darà modo ai due fratelli di farsi un'altra di quelle chiacchierate che a voi piacciono tanto e darà modo a me di aggiungerci qualche aneddoto e qualche flashback che invece piacciono tanto alla sottoscrittaXD
Beh...oltre a questo non ho altro da dire, anzi, adesso fuggo a docciarmi visto il caldoXD
ALLA PROSSIMA...BACIONI...IOSNIO90!!!

giovedì 19 luglio 2012

"Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 3

Caccia al tesoro
“Stefano! Tieni dritta la schiena! Lo sai bene che voglio che tu e tuo fratello vi comportiate da perfetti gentiluomini. La postura è importante. E per l‘amor di Dio togli quei gomiti dal tavolo!! Quante volte devo ripeterti che non è educato? Non è così che ci si comporta, neppure in casa propria ed in assenza di ospiti!!!”
Damiano lanciò un’occhiata a suo padre e storse il naso a sentirlo parlare di nuovo sempre delle stesse cose. Erano regole quelle di Giuseppe, imposizioni vere e proprie, rigidi ammonimenti su ciò che potevano o non potevano fare e su ciò che potevano o non potevano dire. Sembrava che quello fosse il suo modo di fare il padre e, onestamente, Damiano lo trovava parecchio irritante.
Ogni giorno si alzava con la speranza che qualcosa in quell’ uomo cambiasse, che qualcosa in quella casa cambiasse, che tornasse ad essere come un tempo nonostante il dolore ancora persistente, almeno per Stefano. Ma niente accadeva e ogni notte se ne tornava nella sua stanza e sotto le lenzuola faceva sempre lo stesso pensiero, sempre lo stesso da tre anni a quella parte: la felicità era morta con Margherita, sua madre.
Non gli faceva piacere pensarla così, ma si vedeva costretto, non poteva fare altrimenti, non con suo padre continuamente di malumore, un malumore che sfogava in famiglia con paternali e punizioni.
Giuseppe stava ancora soffrendo per la morte di sua moglie e forse avrebbe continuato a farlo per il resto dei suoi giorni, Damiano non era così stupido da non capirlo, ma non trovava giusto il comportamento che assumeva nei loro confronti.
Mai che gliene andasse bene una!
Eppure sia lui che Stefano non erano bambini particolarmente turbolenti, Stefano di sicuro ancor meno di lui, si davano da fare per essere autosufficienti il più possibile e Damiano non trovava sensato il fatto che Giuseppe trovasse sempre un modo per criticare e dire la sua e che tutto gli andava perdonato perché lui soffriva ancora.
Che c’entrava?
Lui e suo fratello erano ancora bambini e avevano visto la loro adorata madre morire davanti ai loro occhi, soffrivano quanto e più di lui!
Per come la vedeva Damiano, suo padre non si sforzava come avrebbe dovuto, sembrava quasi che non gli interessasse più essere un buon padre, amato dai suoi figli. No, lui voleva fare il padre e basta alle sue condizioni e se Stefano si dimostrava giorno dopo giorno sempre più quel tipo di persona paziente e sempre accondiscendente con tutti, lui, Damiano, non lo era affatto. Lui non accettava l’atteggiamento di Giuseppe, non accettava tutte le sue assurde regole, per dispetto non accettava neppure le regole abbastanza normali e sensate. Se lui doveva essere un bravo figlio allora Giuseppe doveva essere un bravo padre, ma visto che così non era allora anche lui aveva tutto il sacrosanto diritto di fare come gli andava.
Il suo precettore ultimamente aveva preso a parlargli di rispetto. Quell’uomo di tanto in tanto intervallava le lezioni di calcolo e lingua con alcuni suoi discorsi lunghi delle ore che avrebbero dovuto avere il compito di dargli delle lezioni di vita facili da comprendere. Peccato che Damiano non era esattamente il bambino che accettava qualsiasi cosa gli venisse detta per quello che era. Lui contestava e poi, nel silenzio della notte, chiuso nella sua camera, ci ripensava su e ne traeva le sue conclusioni personali.
Ora, il rispetto. Il suo precettore gliene aveva parlato come di qualcosa che alla sua giovane età andava guadagnato, ma che stranamente era dovuto agli adulti perché così funzionavano le cose.
Ecco! Damiano era totalmente in disaccordo. Ci aveva ragionato a lungo, tre giorni e tre notti intere e alla fine era giunto alla conclusione che se il rispetto andava guadagnato allora andava guadagnato sempre, non importava che età avesse la persona in questione. Non era detto che gli adulti andavano rispettati solo perché più grandi anagraficamente. Se il rispetto si guadagnava con le azioni compiute allora l’età non c’entrava niente e non vedeva perché lui dovesse rispettare qualcuno le cui azioni non erano degne, a suo dire, di rispetto.
Questo per dire che no, Damiano aveva perso il rispetto per suo padre molto tempo prima. Se quando era più piccolino era indeciso su come valutare Giuseppe perché, dato che lui era sempre fuori casa per lavoro, lui non lo conosceva abbastanza da potersene fare un’opinione. Adesso che, dopo la morte di sua madre, suo padre aveva dovuto per forza di cose imparare a delegare gran parte delle questioni lavorative che prima lo tenevano impegnato costantemente a Firenze, Damiano aveva potuto avere modo di conoscerlo meglio, di osservarlo a fondo e ciò che aveva visto non gli era piaciuto particolarmente. In primis, aveva detestato il momento in cui aveva tassativamente vietato a lui, a suo fratello e a tutti gli abitanti di quella casa di parlare di Margherita o di pronunciare il suo nome.
Era comprensibile il dolore, ma quello non era il giusto modo per affrontarlo, non per l’uomo che avrebbe dovuto sostenere ed aiutare lui e Stefano ad accettare il dolore che ancora provavano e a crescere.
Probabilmente era stato in quel momento che aveva smesso di pensare al conte come a suo padre e aveva preso a vederlo solo come Giuseppe.
“Damiano! La cena è cominciata quindici minuti fa!”.
Il bambino rispose al rimprovero con un’occhiata dura e una scrollata di spalle. L’aveva fatto di proposito, lo sapeva lui e lo sapevano tutti. Più Giuseppe dettava legge, più Damiano trovava ogni modo e scusa possibile per fare di testa sua.
“Avevo un terribile mal di pancia. Ho perso tempo in bagno!” - rispose, mettendosi a sedere al grande tavolo il legno d’acero che troneggiava nella loro sala da pranzo. Suo padre sedeva a capo tavola, lui prese posto alla sua sinistra e di fronte a se aveva il piccolo Stefano che tentava in ogni modo di rimanere dritto con la schiena nonostante fosse evidente sul suo viso il fastidio che la posizione gli provocava.
Giuseppe, che stava tagliando attentamente una patata un po’ troppo grossa, si bloccò all’improvviso e si voltò a guardarlo con un cipiglio a metà tra l’irritato e il disgustato.
“Oh, per favore, Damiano! Siamo a tavola…” - fece.
“Vi stavo solo dando le spiegazioni che il vostro rimprovero esigevano, padre.” - rispose Damiano, sorridendogli a mezza bocca, con quel sorriso un po’ troppo adulto e un po’ troppo cinico che stava imparando a sfoggiare ogni volta che si trovava a conversare “amabilmente” con suo padre.
“Non voglio che ricapiti più. Intesi? Niente più ritardi, Damiano!”
“Certo, padre, come volete…”
Ed era il solito copione che recitavano ad ogni pranzo e ad ogni cena che trascorrevano insieme. Non cambiava mai nulla, nemmeno la leggera preoccupazione che Damiano sembrava sempre leggere negli occhi di Stefano. Probabilmente il suo fratellino pensava al giorno in cui Giuseppe non avrebbe più retto e sarebbe scoppiato, magari mettendolo in punizione a vita o peggio cedendo addirittura alla violenza.
Damiano non se ne preoccupava e anche se quel giorno fosse arrivato avrebbe continuato a non preoccuparsene.
Stefano, invece, era diverso, pensava a lui.
In quel tre anni che erano trascorsi dalla morte di Margherita, Damiano spesso aveva pensato alla loro ultima conversazione, a quando lui aveva detto che suo fratello aveva un cuore troppo gentile e a quando lei aveva tentato di fargli promettere di proteggere sempre Stefano. A dire il vero, Damiano ci pensava veramente spesso a quella promessa che sentiva di non aver mai accettato, non a parole almeno.
All’epoca era troppo arrabbiato per tutta la storia della malattia di sua madre, provava troppa sofferenza e non voleva affrontare la realtà che gli stava portando via l’unica persona che aveva amato con tutto se stesso, quindi non ci era riuscito proprio a parlare, a rispondere.
Col senno di poi, però, aveva anche pensato che forse, le parole che aveva sussurrato a Stefano durante il funerale erano quello, avevano quel significato, quello di accettare di adempiere alla promessa.
Non poteva parlare con nessuno di quella faccenda, doveva risolversela da solo. Una volta in un libro aveva letto che le parole erano importanti, ma ancora più importanti erano le azioni. Aveva pensato che fosse una bella frase, aveva addirittura pensato di prenderla ad esempio nel corso della sua vita, salvo poi accorgersi che era esattamente ciò che lui già faceva. Lui agiva, aveva smesso di parlare dei suoi sentimenti non appena sua madre era stata lasciata sottoterra.
Non sapeva se Stefano lo capiva. Non sapeva se Margherita dal Cielo lo capiva. Sapeva solo che lui non avrebbe mai spiegato, non avrebbe mai parlato, non avrebbe mai detto apertamente che si, inconsciamente aveva preso fin da subito a fare come sua madre aveva voluto per lui, sperando che proteggendo Stefano l’avrebbe resa felice ovunque fosse e che aiutare suo fratello a crescere avrebbe aiutato anche lui a fare lo stesso.


Stefano non resistette. Suo padre gli aveva detto di non portare con lui nessun giocattolo mentre erano fuori, ma lui davvero non poteva, non poteva lasciare nell’enorme villa tutto da solo il suo adorato soldatino di legno. Non era nulla di speciale a guardarlo, solo un pezzetto di legno intagliato con la forma di un uomo, ma glielo aveva regalato il loro vecchio cocchiere poco dopo la morte della sua mamma, dicendogli che era un simbolo di coraggio e che stringerlo forte avrebbe dato coraggio anche a lui. E Stefano sentiva davvero di aver bisogno di tanto coraggio perché lui non era come Damiano, lui non era il Bambino Coraggio, anzi probabilmente era il Bambino Paura.
“Stefano!” - la voce di suo padre risuonò in tutta la villa e il bambino afferrò veloce il soldatino mettendoselo in tasca e scappando al piano di sotto.
Era domenica, la seconda domenica del mese, il giorno in cui Giuseppe portava lui e Damiano a passeggio per le strade affollate di Firenze.
Appena qualche anno prima avrebbe dato di tutto per poter fare una di quelle passeggiate, adesso non sapeva che pensare. Nella sua immaginazione ad accompagnarli c’era sempre la loro mamma, ma così, solo loro tre, non era bello come aveva sempre desiderato che fosse.
Nonostante questo, però, si accontentava, lui si accontentava sempre. Sapeva che non poteva avere ciò che desiderava e allora prendeva ciò che gli veniva offerto e lo faceva col sorriso, sperando in cuor suo che un giorno quella sua allegria avrebbe contagiato anche suo padre. Damiano gli diceva di non sperarci troppo, ma Stefan era fatto così, lui sperava, sperava che le cose sarebbero migliorate, non riusciva a farne a meno. La speranza gli serviva ad affrontare ogni giorno che gli si presentava davanti.
A volte pensava che era in quello che stava la differenza tra lui e Damiano. Crescendo aveva imparato a capire un po’ suo fratello e non gli era mai sembrato il tipo che si lasciava cullare dalla verde speranza dell’avvento di giorni migliori. Damiano aveva il coraggio di fronteggiare a testa alta tutte le difficili prove a cui veniva sottoposto da quella loro infanzia che non pareva voler riservare loro niente di buono, ma non sperava che quei giorni si sarebbero trasformati in qualcosa di positivo.
Lui, invece, Stefano, era l’esatto opposto eppure si sentiva legato a suo fratello, sentiva che lui era l’unico davvero in grado di prendersi cura di lui, di capirlo. Suo padre era troppo preso dalla gabbia di dolore in cui si era rinchiuso per tentare di comprendere loro due, i suoi stessi figli.
Stefano lo capiva e lo perdonava, lo perdonava con forza, credendoci sia per lui che per Damiano che, invece, non sembrava essere capace di concedere a Giuseppe quel dono così grande.
Come al solito la carrozza lì lasciò su una stradina alberata contornata da ville dalla quale iniziarono la loro passeggiata. Non parlavano mai veramente, almeno non con suo padre. Stefano afferrava la mano che Damiano gli porgeva e camminava accanto a lui, due passi avanti a loro padre che si limitava a dare ordini quando e se qualcosa non gli andava bene.
“L’hai portato?” - chiese Damiano, voltandosi appena a guardarlo.
Stefano aggrottò le sopracciglia, confuso.
“Quel tuo giocattolo..” - spiegò suo fratello.
Stefano allora capì e sorrise, annuendo.
“Oh, il soldatino! Si, l’ho portato anche se me ne vergogno un po’.” - ammise a mezza voce, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.
“E per cosa? Per aver portato con te un giocattolo? Hai solo cinque anni, Stefano, è normale, va bene!”
Stefano scosse la testa, con forza. I suoi capelli che venivano tirati dolcemente indietro dalla brezza.
“Non è per questo! E’ perchè ho disubbidito a nostro padre, non avrei dovuto, non avrei dovuto..”  - spiegò.
Damiano sospirò pesantemente e si voltò a lanciare appena uno sguardo a Giuseppe, uno sguardo freddo, duro, uno sguardo che stonava con il suo visetto tondo da bambino.
“Non devi seguire sempre le sue regole! A volte sbaglia, sai? Non devi sempre dargli retta! Quel soldatino è importante per te, dovrebbe capirlo da solo e non importi delle sciocchezze simili!”
Stefano lo guardò, ma non seppe cosa dire. Non sapeva mai cosa dire quando Damiano commentava le azioni del loro genitore.
Suo fratello era sempre così duro, così arrabbiato quando parlava di Giuseppe….
“Già! E’ importante per me…” - si limitò a dire solo questo.
“Perché?” - fece, improvvisamente, Damiano.
“Perché, cosa?”
“Perché è così importante quel pezzo di legno? Non è neppure così bello come tutti gli altri tuoi giocattoli!”
Stefano sorrise, intenerito, portando una mano a stringere la tasca in cui teneva il soldatino.
“Mi dà coraggio! E a me serve perché non ne ho!” - disse.
Damiano gli lanciò un’occhiata stranita.
“Certo che ne hai!” - ribattè.
“No. Sei tu quello coraggioso, io ho solo tanta paura…” - rispose Stefano, abbassando la voce.
“Paura di cosa?” - gli chiese allora suo fratello.
“Non lo so! Paura e basta.”
Ed era vero. Stefano non sapeva esattamente qual era la causa della paura che sentiva, ma sapeva solo che quel sentimento c’era, c’era da che lui ricordava. Qualche anno prima lo interpretava come paura di perdere la sua mamma, poi era diventata paura di non riuscire più a smettere di piangere, poi paura di non essere abbastanza per suo fratello Damiano e adesso….adesso non perdeva neanche più tempo a capire che tipo di paura lui sentisse.
Non era una paura semplice da descrivere. Non era paura del buio o dei mostri sotto il letto. Era qualcos’altro ed era infinitamente più spaventoso, qualcosa che sentiva dentro di se, che un giorno forse sarebbe riuscito a definire, ma che in quel momento non aveva ancora un nome.
Quando ne aveva parlato con la sua balia, lei gli aveva risposto che dipendeva dal fatto che, povero lui, non aveva avuto un’infanzia felice. Stefano non sapeva se quella era oppure no la ragione esatta, forse era per quel motivo che ne stava parlando anche con Damiano, perché suo fratello sapeva sempre dargli una giusta risposta.
“Passerà!” - fece Damiano - “La paura intendo, l’inquietudine….passerà, passerà tutto!” - gli strinse maggiormente la mano e Stefano ricambiò la stretta.



Erano trascorsi due giorni dalla loro passeggiata mensile e Damiano continuava a ripensare a ciò che Stefano gli aveva rivelato. Suo fratello a volte lo preoccupava, più passavano gli anni, più si rendeva conto che sua madre aveva avuto ragione a dirgli che il suo fratellino andava protetto, che era diverso da lui.
Stefano era un bambino fragile, troppo buono per riuscire a sopportare tutto ciò che gli era capitato e Giuseppe non aiutava, non capiva, lui non capiva e non aiutava mai.
Era pomeriggio e Damiano era nella sua stanza. Il precettore era appena andato via e lui stava riposando sul suo letto. Rifletteva.
All’improvviso la porta si spalancò e Stefano gli corse incontro come una furia, inginocchiandosi sul suo materasso con gli occhi pieni di lacrime.
Damiano si tirò su a sedere.
“Stefano! Che succede?” - gli chiese.
“Il soldatino! Il soldatino! L’ho perso. Ero fuori in giardino a giocare e mi sono accorto di non averlo più in tasca!” - gli spiegò Stefano allarmato.
“Ma tu sei sicuro di non averlo lasciato nella tua stanza?”
“Certo che si! Ce l’avevo in tasca con me e adesso è sparito!”
Damiano sentì l’urgenza nella voce di suo fratello e ancora una volta risentì le sue parole che gli dicevano che quello stupido giocattolo gli dava forza contro la paura. Decise che non poteva lasciarlo da solo in quel momento.
“Allora andiamo a cercarlo!” - propose e scese dal letto risistemandosi addosso la giacca.
“Ma le domestiche hanno detto che è impossibile, che è come cercare un ago in un pagliaio. Tu sai cosa significa? Perché io non lo so!” - fece Stefano.
“Significa che sarà molto difficile trovarlo. Il soldatino è molto piccolo e il parco è enorme, come un ago perso tra tanti fili di paglia in un pagliaio pieno. E’ difficile, ma noi lo troveremo. Andiamo!”
Damiano gli afferrò la mano e scesero di sotto, in giardino.
Cominciarono insieme la ricerche. Andarono avanti per ore, come se fosse un gioco, una caccia al tesoro, e Stefano smise di piangere e prese a ridere, a correre e a ridere.
La sera calò presto e dovettero rientrare, ma il giorno dopo erano di nuovo lì a cercare ovunque, a giocare insieme come non avevano mai davvero fatto.
Era metà mattinata quando Damiano, passando dietro il roseto vide qualcosa che attirò la sua attenzione e si chinò a vedere: era il soldatino di Stefano.
Afferrò il giocattolo e guardò suo fratello da lontano. Sorrideva, sorrideva dal giorno prima e non aveva smesso un secondo. Pareva che si stesse divertendo, che stesse assaggiando un po’ di quella felicità che non aveva mai davvero avuto, non pensando alla paura di cui invece parlava spesso. E tutto questo semplicemente stando lì, con lui.
Damiano guardò il soldatino e se lo nascose nella tasca interna della giacca.
Quella caccia al tesoro andò avanti per altre due settimane prima che Stefano ritrovasse “misteriosamente” il suo giocattolo. Furono le due settimane più felici di tutta l’infanzia del bambino che smise finalmente di essere il Bambino Paura per imparare ad affiancare suo fratello maggiore nel ruolo di Bambino Coraggio.






                

NOTE:
Ciao!!! Ok, sono le 23:40, stavolta mi sono superata davvero con il ritardo nel postare, ma ero fuori con una mia amica, cinema e giapponese, quindi capirete sicuramenteXDXDXDXD
Come sempre, ringrazio chiunque abbia letto e/o recensito lo scorso capitolo!!!**
Allora...che dire...il rapporto tra Stefan e Damon sta diventando un pò più definito, almeno spero, e nel frattempo sta cominciando a venire fuori anche il personaggio di Giuseppe che all'inizio ho tenuto da parte di proposito,
proprio per dare maggiore spazio a Margherita visto che sarebbe durata poco, purtroppo. Il dolore dell'uomo è inimmaginabile, peccato che lo abbia portato a chiudersi in se e a non capire il dolore dei figli e, se da una parte Stefan è più propenso a capirlo, dall'altra Damon comincia già a provare astio cosa che, come sappiamo tutti, porterà solo le cose a peggiorare.
E poi....l'avete notata l'ultima scena?XD Tratta direttamente da "Se io, se lei" Se io, se lui!". Beh, mi è sembrato giusto metterla visto che nelle storie precedenti mi sono sbizzarita tanto con gli aneddoti adesso mi pareva corretto aggiungere anche quelliXD
Allora....adesso vado...
Vi aspetto per lo spoiler sul blog lunedì 30 luglio
mentre per il capitolo...
A giovedì 2 Agosto...BACIONI...IOSNIO90!!!

lunedì 16 luglio 2012

Spoiler "Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 3

“Stefano! Tieni dritta la schiena! Lo sai bene che voglio che tu e tuo fratello vi comportiate da perfetti gentiluomini. La postura è importante. E per l‘amor di Dio togli quei gomiti dal tavolo!! Quante volte devo ripeterti che non è educato? Non è così che ci si comporta, neppure in casa proprio ed in assenza di ospiti!!!”
Damiano lanciò un’occhiata a suo padre e storse il naso a sentirlo parlare di nuovo sempre delle stesse cose. Erano regole quelle di Giuseppe, imposizioni vere e proprie, rigidi ammonimenti su ciò che potevano o non potevano fare e su ciò che potevano o non potevano dire. Sembrava che quello fosse il suo modo di fare il padre e, onestamente, Damiano lo trovava parecchio irritante. Ogni giorno si alzava con la speranza che qualcosa in quell’ uomo cambiasse, che qualcosa in quella casa cambiasse, che tornasse ad essere come un tempo nonostante il dolore ancora persistente, almeno per Stefano. Ma niente accadeva e ogni notte se ne tornava nella sua stanza e sotto le lenzuola faceva sempre lo stesso pensiero, sempre lo stesso da tre anni a quella parte: la felicità era morta con Margherita, sua madre.



Eccomi qui ed ecco lo spoiler!!!
Scusate il ritardo, ma oggi sono tornata a casa davvero tardi tra il lavoro, una commissione e l'altraXD
Ora che Margherita non c'è più, la storia andrà a concentrarsi un pò su quella che è la figura di Giuseppe Salvatore che in questi primi capitoli è stato tenuto volutamente un pò da parte per dare spazio alla madre dei nostri due ancora piccoli futuri vampiriXD
E Damon già non lo regge.....XD Ma dopotutto come dargli torto? Questo va avanti a regole e sappiamo tutti quanto a Damon piacciano le regole, giusto?XDXDXDXD
ALLA PROSSIMA...BACIONI...IOSNIO90!!!

giovedì 5 luglio 2012

"Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 2


Addio
I tre anni avrebbero dovuto essere un grande traguardo per Stefano. Finalmente era abbastanza grande per essere ammesso ai giochi di suo fratello, ma nuovamente l’unica compagna di giochi che andò a stringergli la mano fu la delusione.
Non si lamentava, non lo faceva mai.
Era un bambino, avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per farlo, per lamentarsi, ma lui si guardava intorno,vedeva che il mondo delle persone a lui più care non era bello come quello in cui lui sperava di vivere con loro e allora desisteva, si mordeva la lingua, abbassava gli occhi sulle scarpe e mandava giù ogni singolo groppo in gola che gli si formava.
Voleva essere felice, gli sarebbe piaciuto, la sua mamma gli diceva che poteva esserlo se voleva, che nessuno se la sarebbe presa, ma poi Stefano guardava lei confinata in un letto ogni giorno da che ricordava, guardava suo padre stanco e spossato e puntava i suoi grandi occhi verdi in quelli neri come la notte di Damiano e allora capiva che sua madre si sbagliava, che qualcuno se la sarebbe presa, che suo fratello…se la sarebbe presa, che non l’avrebbe trovato giusto e lui non voleva, non voleva assolutamente creare altri dissapori o far soffrire Damiano più di quanto già non lo vedesse fare.
La sua balia a volte gli raccontava di quando lui non era ancora nato e di come al tempo Damiano passava le sue giornate correndo nel parco, sorridendo a tutti.
Stefano non l’aveva mai visto correre e non l’aveva mai visto sorridere, non davvvero.
Avrebbe dato di tutto per poter ridere con suo fratello un giorno.
Ma la loro mamma era malata, così gli avevano detto.
Non sapeva cos’avesse - quando si ammalava lui restava a letto un paio di giorni, mentre sua madre era sempre a letto fin da quando aveva memoria - e questo lo confondeva, non riusciva a capire.
Un giorno aveva fatto l’errore di esternare quel suo dubbio a Damiano.
Nella sua mente, infatti, con sua madre confinata in un letto e suo padre diviso tra il lavoro e le cure della moglie, Stefano aveva preso ben presto ad associare la figura di suo fratello a quella di “colui che si prende cura di me”, ma questo succedeva appunto solo nella sua mente perché Damiano la vedeva in ben altra maniera.
Era un fratello freddo con lui, Stefano se ne rendeva conto quando metteva a paragone con loro altre coppie di fratelli che giocavano e si guardavano le spalle a vicenda, ma questo non era abbastanza a fargli passare l’idea che Damiano fosse il suo punto di riferimento.
Pensava che fosse una cosa triste, si sentiva triste la maggior parte del tempo, ma non poteva farci niente.
Beh…quando esternò a Damiano quel suo dubbio circa le condizione della loro madre, lui aspettò qualche secondo e poi scattò immediatamente dalla sedia su cui era seduto e gli si parò davanti afferrandolo per il bavero della giacchetta estiva che indossava.
Gli disse: “E’ tutta colpa tua, non te ne rendi conto?”
Stefano scosse la testa, ingenuo e Damiano lo lasciò andare, facendolo ricadere pesantemente sul pavimento.
Non pianse neanche quella volta, no. Stefano cercava sempre di essere forte, di assorbire tutto ciò che di male subiva o gli veniva detto. Ma quel momento gli si impresse a fuoco nella mente e da quel giorno sapeva bene che l’avrebbe sempre ricordato come la sua prima esperienza con la violenza e la prima volta che era riuscito davvero a leggere qualcosa negli occhi di suo fratello. Quegli occhi che scrutava attentamente ogni giorno e che gli erano sempre parsi vuoti, quel giorno gli avevano mostrato un’emozione mentre Damiano gli sputava addosso quelle parole neanche fossero veleno, gli avevano mostrato dolore.
Dopo quel momento Stefano aveva fatto una lunga corsa lungo tutto il perimetro del parco che circondava la villa. Gli piaceva camminare lungo i cancelli di confine perché gli davano l’opportunità di vedere cosa c’era all’esterno del pezzo di mondo in cui viveva. Usciva dalla loro proprietà solo per recarsi in chiesa la domenica mattina, per il resto poteva dire di aver visto ben poco delle campagne circostanti e di non aver visto un bel niente di Firenze.
Gli sarebbe piaciuto così tanto vederla….
Ma quello non era il momento.
Nelle sue gite immaginarie lui si vedeva con Damiano mentre camminavano tra i loro genitori per le vie affollate di persone. Erano gite gioiose, felici e di certo non si poteva essere felici adesso che sua madre era malata ed era…colpa sua? Davvero?
Le parole di Damiano lo avevano colpito e dopotutto perché suo fratello avrebbe dovuto mentirgli, affibiandogli una colpa che non aveva? Non ce n’era ragione!
D’altra parte, però, si chiedeva anche come avesse fatto lui a far ammalare la loro mamma e soprattutto quando era capitato.
Corse a perdifiato sulla via del ritorno. Corse tra gli alberi, schivando i cespugli di rose e quelli di fragole, stando attento a non calpestare le margherite bianche e dorate prima di raggiungere la distesa di ghiaia che dava sulla porta su resto, quella vicino alle scuderie.
“Signorino! Signorino!” - la sua balia prese a chiamarlo non appena lo vide, ma Stefano sentiva di non avere tempo.
“Torno presto balia..” - urlò in risposta.
Aprì la porta di casa e si fiondò verso l’ingresso principale dal quale prese a risalire l’immensa scalinata fino al piano superiore dove erano posizionate le stanze da letto patronali.
“Signorino! Tornate qui, ve ne prego…” - la voce della balia tornò a supplicarlo, ma Stefano continuò. Ormai era nel sorridoio che dava sulla camera di sua madre e sentiva i passi della donna alle sue spalle.
“No! Devo chiedere una cosa alla mamma, adesso. Dopo, verrò dopo…”
“Signorino, non..” - la voce della balia si smorzò non appena Stefano spalancò la porta della stanza a cui era diretto.
“Mamma?”- fece, ma rimase fermo sulla soglia non azzardandosi ad entrare quando si ritrovò davanti i suoi genitori, Damiano e quello che aveva imparato a conoscere come uno dei medici che avevano in cura la loro famiglia.
“Mia signora, mi spiace, non sono riuscita a fermarlo in tempo…” - mormorò remissiva la balia, abbassando gli occhi.
Margherita le sorrise gentilmente e la congedò con un gesto della delicato della mano.
“Mamma posso entrare?”- fece, allora Stefano.
La testa di Damiano scattò subito nella sua direzione.
“Va’ via Stefano!” - gli ordinò, ma sua madre intervenne anche quella volta.
“Damiano! Ti ricordi cosa ti ho appena detto, vero?”- lo riprese.
Stefano vide suo fratello annuire e sospirare. Passò ancora qualche attimo, attimi di mormorii tra suo padre e il medico nell’angolo della stanza, alla luce della finestra aperta, poi il dottore prese congedo e suo padre lo scortò fuori. Damiano li seguì.
“Vieni qui, piccolino…” - lo esortò sua madre, non appena lei e Stefano rimasero soli.
Non se lo fece ripetere. Regalò un enorme sorriso
alla donna e poi salì sul grande letto a baldacchino, andando ad accoccolarsi tra le braccia della sua mamma.
Stefano le voleva bene, non poteva dire  il contrario, nonostante il loro rapporto fosse fatto solo di tante chiacchierate e non potessero permettersi di giocare insieme per via della salute cagionevole di lei.
“Mamma? E’ vero che se sei malata è colpa mia?” - sussurrò Stefano.
Margherita aggrottò la fronte e gli alzò il piccolo mento con una mano per poterlo guardare negli occhi, verde nel verde.
“Chi ti ha detto questo? Damiano, forse?” - gli chiese.
Stefano non se la sentì di dire che si, era stato suo fratello a formulargli quell’accusa, quindi si limitò solo a scrollare le spalle e la testa.
“E’ vero? Perché io ci stavo pensando solo che non capisco…come, come ho fatto a farti ammalare?”
“Stefano, non è colpa tua se mi sono ammalata, va bene? Io sono sempre stata….cagionevole. Ho un corpo fragile, è questa la verità. Mi sono ammalata quando nacque Damiano e poi mi sono ammalata di nuovo quando sei nato tu, ecco tutto.”
“Quindi è davvero colpa mia…” - ribattè il bambino.
“No, Stefano, no, non crederlo mai! E non essere triste, non devi. Guarda me, io non sono triste. Come potrei esserlo dopo che nostro Signore mi ha concesso non uno, ma ben due miracoli? Non si deve essere triste per i proprio miracoli, perché sono sempre tanto grandi, così immensi che qualsiasi conseguenza portino con se andrà sempre bene, ricordatelo!”
“I miracoli, mamma?”
“Si, i miracoli! Sai cosa sono i miracoli? Un miracolo è ciò che accade quando per Grazie Divina ci succede qualcosa che a detta dell’uomo, di qualsiasi essere umano che popoli questa terra, non sarebbe mai stato possibile che succedesse! Voi siete i miei miracoli, Stefano, tu e e Damiano. Dicevano che non potevo diventare madre e invece eccovi qui, i miei due principi. Come potrei essere triste per questo, qualsiasi sacrificio comporti?” - gli rispose sua madre, sorridendo e stringendolo a se - “Ricorda sempre ciò che ti ho detto, Stefano. E ricorda sempre quanto ti amo, ti ho amato e ti amerò sempre, piccolo mio…”
Stefano poggiò la testolina sulla spalla della donna e le passò un braccio intorno al collo magro. Lei, intanto, prese a canticchiare una canzoncina che il bambino ricordava da sempre.
Trascorsero svariati minuti. Furono attimi di pace e serenità. Stefano non si accorse delle lacrime che Margherita versava silenziosamente mentre lo teneva tra le sue braccia.


Damiano ormai aveva perso ogni memoria del breve periodo di felicità prima della nascita di Stefano e della conseguente malattia di sua madre.
Non odiava suo fratello, ma provava rabbia, un’immensa rabbia nei suoi confronti. A volte desiderava che non fosse mai nato perché era dalla nascita del suo fratellino che lui aveva preso a vivere in un perenne stato d’angoscia e contrasto, diviso tra la gioia inaspettata di avere qualcuno di poco meno della sua età con cui condividere la vita e la tristezza per quello che era stato il sacrificio di sua madre.
Sapeva tutto, Damiano.
Non era molto grande - a 6 anni tutti ti dicono che sei un ometto, ma ti considerano poco più di un bimbo in fasce - e non gli venivano direttamente raccontate certe cose. Le informazioni doveva cercarsele da solo e quindi ciò che prima era un difetto di carattere, la sua curiosità, era diventato un vizio vero e proprio che lui giustificava con la necessità.
Aveva bisogno di sapere come stava sua madre, perché stesse così e quando e se si sarebbe ripresa, ma nessuno parlava, non in sua presenza, quindi si riteneva pienamente in diritto di indagare, spiare e fare qualsiasi altra cosa fosse necessaria per ottenere suddette informazioni.
Era logico, era normale che un figlio volesse essere messo a parte della salute di sua madre. Si diceva questo e si faceva passare in fretta qualsiasi accenno di senso di colpa gli nascesse nel petto.
Il distacco, ecco cosa gli aveva insegnato quell’esperienza, qualcosa che sapeva si sarebbe portato dietro per sempre.
Sua madre stessa, all’inizio, poco dopo la nascita di Stefano, quando lo vedeva piangere giorno e notte perché lui aveva capito che le cose per lei sarebbero solo andate peggiorando, gli diceva: “Devi essere forte, non devi piangere, devi sorridere a tuo fratello, sorridere alla vita….” - Damiano non riusciva nemmeno in quel momento, a tre anni di distanza, a sorridere a suo fratello o a sorridere alla vita, ma sì, invece, aveva imparato ad essere forte e a non piangere, aveva imparato a tenere lontano il dolore o, per meglio dire, a tenere se stesso lontano dal dolore. Il distacco, appunto. Avrebbe sempre incolpato quegli anni per questo, per avergli insegnato solo questo quando avrebbero dovuto insegnargli la felictà e l’amore di una famiglia unita.
In quella casa non c’era niente di unito, non più. E in fondo era quasi un bene che Stefano quell’unità non l’avesse sperimentata neppure una volta perché almeno - si diceva Damiano mentre guardava suo fratello giocare in cortile dalla finestra della sua stanza, quando lui pensava di non essere visto da nessuno se non dalla sua balia - adesso non vivrebbe col cuore rinchiuso in una prigione di vecchi ricordi come invece faceva lui.
Aveva già un precettore. Questi gli soleva dire che nessun bambino avrebbe dovuto fare di quei pensieri. Damiano costringeva la bocca in una smorfia e taceva. Se quell’individuo tanto erudito non lo capiva allora si chiedeva chi mai potesse farlo.
Quel giorno non sembrava diverso dagli altri.
Aveva trascorso la sua giornata spiando le conversazioni di suo padre coi medici, domandandosi come poteva un padre che in quegli anni era rimasto in casa molto più di quanto non avesse fatto in precedenza ad essere nient’altro che un fantasma, una figura di contorno o di passaggio nella sua vita e in quella di Stefano. Probabilmente il dolore aveva colpito molto anche lui, ma Damiano non riusciva a pensarci e forse neanche voleva. Lui aveva già il suo dolore da gestire, il suo dolore dal qualche stare alla larga, non poteva mettersi a pensare anche a quello degli altri, ammesso che ne provassero.
Quel giorno aveva assistito sua madre, come sempre.
Quel giorno aveva urlato a Stefano che era colpa sua se la loro madre era malata.
Damiano non sapeva neppure se lo pensava davvero oppure no. Sapeva che quelle parole gli erano uscite di bocca, si, e anche in modo parecchio violento, ma non riusciva a decidere neppure lui stesso se ci credeva o le aveva dette…così…perchè doveva pur dare la colpa a qualcuno.
Era strano il rapporto che aveva con suo fratello. Era sicuro che Stefano non credesse neppure che ci fosse un rapporto, ma lui lo vedeva, Damiano lo percepiva.
Durante quei tre anni si era convinto che ciò che doveva fare il fratello maggiore era sorvegliare il fratello minore, guardargli le spalle senza interferire con la sua vita. Non sapeva se fosse giusto o meno, ma era tutto ciò che riusciva a fare per Stefano, per il momento almeno.
Stargli troppo vicino, guardarlo negli occhi, quegli occhi uguali a quelli di sua madre, era impensabile per lui.
Come se non bastasse Stefano aveva anche l’animo di sua madre: puro, ingenuo, sognatore, altruista e umile.
E vedere lui pieno di vita in confronto a lei che pian piano si spegneva….era troppo, davvero troppo.
Una cosa alla volta, poteva affrontarli soltanto uno alla volta, non poteva fare di più.
“Damiano? Ho sentito delle voci dal piano di sotto poco fa, sembrava la tua voce…cosa è successo?” - la voce di sua madre gli arrivò flebile alle orecchie non appena mise piede nella sua stanza, nonostante lei si sforzasse per mostrarsi sempre forte.
Damiano scosse la testa. Sapeva che lei si stava riferendo alla sua breve discussione con suo fratello avvenuta poco prima.
“Nulla! Non è stato nulla, davvero.”  - le rispose.
Mentire, aveva imparato a fare anche quello.
“Oh, bene..” - mugugnò lei, distendendo la fronte aggrottata e aprendo le labbra in un sorriso.
“Il medico è nello studio con mio padre, stanno arrivando.”- la informò mentre le si sedeva di fianco e prendeva a giocare con una sua mano.
Margherita annuì col capo ancora sul cuscino e i capelli che le si aprivano a ventaglio tutti intorno alle spalle. Era sudata, probabilmente le era tornata la febbre.
“Prima che arrivino, voglio chiederti una cosa, piccolo mio…”
Damiano alzò di scatto la testa a guardarla.
“Certo! Qualsiasi cosa..” - le rispose.
“Una promessa.” - fece lei.
Damiano si accigliò. Non capiva.
“Una promessa?”
“Si, una promessa.” - confermò Margherita - “Voglio che mi prometti che proteggerai sempre tuo fratello, che gli vorrai bene e terrai sempre a cuore le sue sorti. Tuo padre è…così stanco. E’ provato, devi capirlo. Mi resta accanto giorno e notte e in più deve accudire voi e pensare alla vostra crescita e alla vostra istruzione da solo ora che io non posso dargli una mano, ma tu sei un ometto ormai e Stefano è così piccolo ancora. Oltretutto non è come te, non è com’eri tu alla sua età e mi sentirei maggiormente rassicurata se sapessi che anche tu te ne prendi cura.”
“Stefano ha un cuore troppo gentile…” - s’intromise Damiano.
“Anche tu, piccolo mio, anche tu. Anche tu hai un cuore gentile e un animo buono solo che, rispetto a lui, hai più…praticità, ecco. Affronti la vita per quello che è, a testa alta, e se non ti dà ciò che desideri allora fai di tutto per prendertelo da solo, per strapparle quella serenità che non ti ha donato. Ma Stefano no, lui è come me, è remissivo. Se la vita non gli dà ciò che desidera allora lui abbassa la testa e prende ciò che gli è capitato in sorte, senza fare storie. Questo a volte è un pregio, ma capita che sia anche un difetto, un male che non gli ermette di essere felice ed io vorrei che lo fosse come lo eri tu un tempo. Stefano non è mai stato felice…” - due colpi di tosse interruppero il discorso di Margherita. Damiano fece per porgerle dell’acqua, ma lei scosse la testa e riprese a parlare.
“Per questo motivo ti chiedo di promettermelo, Damiano. Promettimi che gli resterai sempre accanto, che veglierai su di lui, che gli vorrai bene. Promettilo, figlio mio, te ne prego!”
Damiano rimase in silenzio.
Quello, tutto quel discorso, quella promessa….perché gli sembravano un addio, le parole di una persona che sa che forse non avrà più la possibilità di fare o dire e allora chiede agli altri di fare e dire per lei?
“Ma…non ce n’è bisgno!” - obiettò - “Mamma, tu guarirai e potrai vegliare tu su Stefano!”
Margherita gli afferrò la mano, saldamente, tirandosi su col busto per poterglisi avvicinare.
“Promettimelo, Damiano!” - fece ancora.
In quel momento la porta si aprì, prima che lui potesse dire o fare qualcosa.
Suo padre entrò col medico e gli permisero di restare lì a patto che si facesse da parte. Durante la visita sua madre continuò a guardarlo, esortandolo con lo sguardo a pronunciare quelle parole, a promettere, ma Damiano era al limite.
Promettere avrebbe voluto dire accettare che sua madre non sarebbe stata più lì con loro a breve, non sarebbe più stata lì per prendersi cura di lui e di suo fratello e non voleva, non voleva accettarlo.
L’arrivo di Stefano al termine della vista medica fu inaspettato. Damiano gli si rivolse in malo modo, ma in cuor suo era contento che fosse venuto a distogliere gli occhi insistenti di sua madre da lui.
“Damiano! Ti ricordi cosa ti ho appena detto, vero?” - sua madre tornò a ripeterglielo ancora, riferendosi ovviamente alla promessa che gli aveva chiesto di giurarle.
Damiano annuì e sospirò.
Non sapeva neppure lui se quel gesto affermativo del capo significasse “Si, me lo ricordo” oppure “Si, lo pometto”. Non sapeva neppure come l’aveva interpretato sua madre.
Lasciò la stanza, seguendo suo padre, che ancora era intento a pensarci, a decidere. Prima di richiudere la porta lanciò uno sguardo a Stefano e sua madre, con suo fratello accoccolato tra le braccia di Margherita. E la sua confusione in merito a quella promessa invece di scemare, crebbe. Decise che ne avrebbe parlato ancora sua madre.
Quella notte, nel bel mezzo della notte, la loro villa si rianimò all’improvviso. Damiano uscì dalla sua stanza e corse a perdifiato verso quella dei genitori. Nel tragitto aveva afferrato la mano di Stefano e l’aveva trascinato con se.
Arrivarono appena in tempo sulla soglia per vedere l’ultimo sorriso di Margherita, poi lei chiuse gli occhi e fu per sempre.




“Damiano? Io volevo molto bene alla mamma…” - le parole di Stefano erano smorzate dal pianto. Ad ogni parola era alternato un sighiozzo mentre assistevano al funerale della donna che entrambi avevano amato e che li aveva amati a sua volta così tanto da donare la sua stessa vita per loro.
“Lo so, Stefano. Anch’io le volevo molto bene e lei ne voleva a noi.” - fece Damiano.
Dalla notte prima, da quando si erano stretti la mano mentre correvano lungo quel corridoio, la loro presa sull’altro non si era più allentata.
Soffrire in due era meglio che soffrire da soli.
“Mi ha detto che noi eravamo i suoi miracoli, ieri…”
“L’ha detto anche a me una volta.”
Posarono dei fiori sulla bara che conteneva Margerita. Le sussurrarono il loro amore guardando il cielo.
Chi li guardava pensava che due bambini così piccoli non avrebbero dovuto avere a che fare con la morte.
“Damiano?”
“Si, Stefano?”
“Io voglio molto bene anche a te. Non te ne andrai, vero?”
“Non me ne andrò! Mai!” - quelle parole segnarono la loro intera esistenza.





NOTE:
Ciao a tutti e buon giovedì sera di inizio luglio!!!**
Il caldo vi sta uccidendo? Beh...sta uccidendo anche me!XD
Allora...ringrazio innanzitutto chi ha letto e/o recensito il capitolo precedente e anche chi ha letto silenziosamente. Vi adoro tutti senza differenze**
Alcuni di voi hanno trovato lo scorso capitolo un pò triste e questo....diciamo che mi sono depressa da sola scrivendoloXDXDXD
Nei prossimi le cose si risolleveranno, davvero, non sarà sempre così tragica. Purtroppo, però, la vita di Stefan e Damon non è iniziata nel migliore dei modi e questo, a mio dire, è andato ad influire anche sul loro rapporto che io vedo più complicato di quanto già non lo siano loro separatiXD
Di questo ho già cercato di dire qualcosa in questo capitolo, ma nei prossimi sicuramente si noterà di più con Stefan e Damon che crescono**
Vi aspetto, quindi, lunedì 16 luglio sul blog per lo spoiler mentre per il prossimo capitolo...
A giovedì 19
luglio.....BACIONI...IOSNIO90!!!

lunedì 2 luglio 2012

Spoiler "Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 2

La sua balia a volte gli raccontava di quando lui non era ancora nato e di come al tempo Damiano passava le sue giornate correndo nel parco, sorridendo a tutti.
Stefano non l’aveva mai visto correre e non l’aveva mai visto sorridere, non davvero.
Avrebbe dato di tutto per poter ridere con suo fratello un giorno.



Ecco lo spoilerXD
Primo POV Stefan (al secolo StefanoXD).
Sono passati tre anni dalla sua nascita e vedremo un pò le cose dal suo punto di vista.
Sarà un capitolo un pò triste, vi avverto, purtroppo la loro vita non è iniziata nel modo migliore, per come l'ho sempre pensata io, ma spero che vi piacerà.
ALLA PROSSIMA...BACIONI...IOSNIO90!!!