giovedì 30 agosto 2012

"Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 6

Il primo diario

Una volta, da bambino, sua madre lo aveva preso in disparte e gli aveva messo tra le mani uno strano libro. Non era molto grosso e neppure molto pesante o particolarmente bello. Era semplicemente un'insieme di fogli di carta spessa e leggermente ingiallita tenuti insieme da una rilegatura scadante e da una copertina in pelle marrone chiusa da un grosso spago nero. Un libro decisamente anonimo, ma che agli occhi di Damiano - che all'epoca aveva appena compiuto più o meno tre anni - aveva assunto la connotazione di "strano" non appena lo aveva aperto e aveva scoperto che al suo interno non vi era scritto perfettamente niente. Le pagine di quel libro erano nuove, libere da qualsiasi traccia d'inchiostro, non c'era neppure un segnetto sopra messo per sbaglio.Si era rivolto a sua madre credendo che lo stesse prendendo in giro, ma lei gli aveva risposto che quello era un libro speciale, che era un diario, un libro che - udite, udite - veniva realizzato e venduto in bianco affinchè chiunque lo comprasse potesse scriverci quello che pensava circa le cose che gli accadevano.
Quel Damiano ancora bambino aveva pensato che quella cosa del diario fosse un pratica alquanto bizzarra, ma sua madre ne teneva uno e lei non era affatto bizzarra e ne stava regalando uno proprio a lui dicendogli che magari lo avrebbe trovato utile nel momento in cui fosse diventato abbastanza grande da aver già imparato a scrivere.
Negli anni, con tutto ciò che era successo alla sua famiglia, Damiano aveva ripreso spesso quel diario dalla cassapanca che teneva ai piedi del suo letto pensando di scriverci ciò che sentiva, le cose sulle quali rifletteva e le conclusioni alle quali giungeva, ma mai una sola parola aveva lasciato la sua mente, attraversato il suo braccio fino alla sua mano per poi riversarsi su quei fogli che a distanza di quattordici anni erano ancora vuoti come il primo giorno in cui sua madre gli aveva dato in dono quel diario.
Semplicemente....non era tipo da diari, non lui almeno. In generale, non era esattamente il tipo da esprimere così facilmente ciò che sentiva, nemmeno se si trattava di trascriverlo su un foglio, perchè farlo gli metteva sempre addosso una sorta di imbarazzo e agitazione, due sensazioni che non gli piacevano e che andavano a guastare quella sua aria da uomo vissuto che a diciassette anni già poteva vantarsi di avere e saper gestire al meglio.
Le persone che tenevano dei diari erano diverse da lui, diametralmente all'opposto, e per quanto potesse dargli fastidio ammetterlo - perchè in quel caso l'opzione che gli restava era un qualcosa a cui neppure voleva pensare - sua madre era stata quel tipo di persona diversa da lui e capace di riversare su un diario ogni sua gioia o dubbio. Lei era stata una donna pacata, gentile e fieramente sentimentale e romantica. Lui, invece, si conosceva abbastanza ed era abbastanza sincero da ammettere che al contrario era irascibile, tendenzialmente egoista e drammaticamente chiuso in se stesso quando si trattava di sentimenti. Era Stefano quello che più somigliava a Margherita, sia nell'aspetto che nel carattere e questo lo rendeva esattamente, come era stata lei, un tipo da diario.
Si rigirò quel libricino tra le mani un'ultima volta e poi chiamò una domestica ordinandole di portarlo di sotto e di metterlo insieme a tutti gli altri doni che stavano giungendo alla villa per Stefano. Era il suo quattordicesimo compleanno, infatti, era praticamente già un uomo e quella sera avrebbero tenuto una festa danzante, la prima vera festa di suo fratello e tutta in suo onore.
Damiano doveva ammettere che gli dispiaceva un pò dare via quel dono che era stato di sua madre, ma era altrettanto convinto che Stefano sarebbe stato in grado di sfruttarlo nel miglior modo possibile, così come lei avrebbe voluto e come lui non era stato in grado di fare.
Rimase ancora per qualche minuto alla finestra della sua stanza, con gli occhi fissi su tutta quella marmaglia di persone che si stava dando da fare per addobbare l'immenso giardino secondo le sue istruzioni.
Era stato lui a volere quella festa. Per dovere ne aveva chiesto conferma a suo padre, certo, ma lo aveva fatto quando ormai tutto era stato deciso e soltanto perchè doveva seguire l'etichetta che diceva che il padrone di casa non era lui, che tantomeno era il padre di Stefano e che di conseguenza non poteva decidere di sua iniziativa e senza l'approvazione di suo padre quando dare una festa e a quando fissare l'ufficiale presentazione alla nobiltà fiorentina di suo fratello.
Giuseppe aveva sbraitato all'inizio, come ogni volta che si trovavano da soli in una stanza dopotutto, ma Damiano gli aveva fatto presente che sarebbe risultato davvero strano se non avessero tenuto quella festa. Persino per i suoi quattordici anni c'era stata una festa, certo non sfarzosa come quella che stavano per tenere, ma c'era stata e questo nonostante le idee del padre secondo le quali non sarebbe stato prudente istruirlo e accompagnarlo tra gli alti funzionari dell'economia della città prima di ulteriori due anni, ma Stefano era differente da lui, non era permaloso, nè disubbidiva e poi lo sapevano ormai tutti che quel tipo di feste erano per i ragazzi, che tutti avrebbero dovuto averne una e che quel tipo di debutto in società non aveva alcun valore, non quanto ne avrebbe avuto partecipare in seguito ad una delle riunioni tra nobili a cui partecipava Giuseppe, ovvio.
Con queste argomentazioni, con la fermezza che gli apparteneva ogni volta che si trattava di decisioni sulla vita di suo fratello e con anche una velata minaccia circa il fatto che la festa l'avrebbe fatta comunque anche se suo padre avesse detto di no, alla fine Giuseppe si era convinto e aveva mormorato un burbero: "E sia!"
Parlare con quell'uomo era un qualcosa di insopportabile, dopo quello che gli era successo circa otto mesi prima lo era ancora di più oltretutto e trattare con lui minava parecchio la compostezza di Damiano, ma nell'ultimo mese, da quando la festa era stata programmata e gli inviti erano stati recapitati, c'era stato un pensiero fisso che aveva più volte minacciato di togliergli persino il sonno: fosse stata la sua festa avrebbe voluto avere suo padre ben distante, ma si trattava di Stefano e Damiano sapeva che, anche se con lui non lo ammetteva a voce alta, ci teneva che Giuseppe partecipasse o che almeno fosse in casa durante l'arco della serata.
Quella era stata l'altra segreta crociata di Damiano, una crociata che gli sapeva di fallimento sin da primo giorno in cui l'aveva intrapresa. Si era detto che era dovuto alla sua scarsa se non nulla fiducia in suo padre, ma adesso che era a poche ore dall'arrivo dei primi ospiti e non sapeva ancora con esattezza cosa avesse fatto Giuseppe quella sera, il sapore del suo fallimento e della delusione mista a tristezza che avrebbe scorto negli occhi di Stefano se quell'uomo non ci fosse stato gli avevano riempito la bocca togliendogli l'appetito.
Avrebbe voluto poter fare di più, tipo incatenarlo ad una sedia e lasciarlo libero per la villa solo la sera della festa, ma purtoppo più che ribadire ogni giorno a Giuseppe, con toni più o meno accesi, quanto Stefano ci tenesse alla sua presenza non era stato possibile fare. Ora tutto era...beh...nelle mani di suo padre e la cosa non lo faceva stare per niente tranquillo.
Lasciò la sua stanza e si diresse verso quella di Stefano. Lo trovò in piedi su una piccola pedana in legno davanti ad un enorme specchio, con l'espressione poco convinta di chi non sa cosa scegliere. In quel momento, ciò che lui doveva scegliere era il colore dei suoi vestiti per la serata, solo il colore visto che il taglio dei vestiti lo avevano già deciso circa un paio di settimane prima. Adesso, infatti, sul letto di Stefano erano disposti in fila un bel numero di vestiti tutti uguali fatta eccezione per il colore, una sarta era al fianco di suo fratello e gli illustrava i benefici che avrebbe tratto dallo scegliere quello blu scuro che aveva indosso e due uomini erano ai lati dello specchio e lo sorreggevano con aria annoiata.
Secondo i calcoli di Damiano quelle persone avrebbero già dovuto essere fuori dalla vita da un pezzo, ma in quel momento si rese conto che aveva dimenticato di aggiungere al tempo stimato quello che Stefano avrebbe perso una volta preda dell'indecisione dovuta al fatto che la sarta aveva fatto un lavoro ammirabili e che ogni vestito era bellissimo: la gentilezza di suo fratello era encomiabile, ma a volte era anche fin troppa.
"Scegli quello chiaro lì in fondo!" - suggerì, entrando e indicando con un cenno del capo il vestito posizionato all'altro capo del letto di un tenue color crema con rifiniture in oro - "Quello ti starà bene! Metterà in risalto gli occhi e inoltre metterà in risalto te visto che capita davvero di rado che qualcuno tra gli uomini si presenti ad una festa vestito di chiaro, di solito tendono tutti ad indossare capi scuri, lo faccio anch'io..." - spiegò poi scrollando le spalle.
Stefano si voltò a guardare prima lui e poi il vestito che gli aveva indicato, con aria incerta.
"Appunto! Proprio per questo non dovrei sceglierne uno più scuro? Se metto quello tutti gli occhi saranno puntati su di me!" - obiettò.
"Tutti gli occhi saranno puntati su di te comunque! Sei tu che compi gli anni e questa è la prima festa a cui prendi parte quindi nessuno ti conosce ufficialmente, nessuno ha mai avuto modo di parlare con te e saranno tutti estremamente curiosi nei tuoi riguardi. Quindi, dico io, già che ti guarderanno tutti lo stesso, tanto vale tu ti renda subito riconoscibile tra la folla, no?"
Stefano non rispose altro. Abbassò per un attimo gli occhi e alla fine gli diede ragione. Pochi istanti dopo la sarta e i due uomini lasciarono la stranza portando via tutto tranne il vestito scelto e lanciando a Damiano un'occhiata e un piccolo inchino di saluto e gratitudine.
"Pronto per stasera, giovane indeciso?" - fece Damiano, avvicinandosi a Stefano una volta che furono soli.
L'altro sospirò e annuì poco convinto.
"Credo di si! Anche se...che devo aspettarmi di preciso?" - chiese, visibilmente in ansia.
"Beh...parecchie persone che ti fissano, parecchie domande stupide sui tuoi studi, i tuoi interessi e le tue prospettive per il futuro, parecchi regali vista l'infinita lista di ospiti e..." - Damiano accompagnò la sua breve pausa con un ghigno divertito prima di riprendere a parlare - "...ragazze! Ci saranno delle ragazze ovviamente, giovani dame molto belle che pobabilmente ti metteranno in imbarazzo e con le quali dovrai ballare!"
Stefano, come previsto, sbiancò.
"Ballare? Con loro?" - fece.
"Certo! Sei il festeggiato, l'attrazione della serata, sarebbe scortese se non chiedessi a tutte le giovani dame presenti, se non quasi, di ballare con te!" - rispose Damiano - "Suvvia, non fare il timido! Sei bravo nelle danze. Certo non quanto me, ma sei bravo, te la caverai!"
"Lo so, Damiano, lo so, è solo che....sono ragazze..." - fece ancora Stefano, abbassando la voce sulle ultime parole come se fosse un grosso segreto da bisbigliare.
Damiano lo trovava estremamente ridicolo, divertente e anche leggermente senza senso. Tutta quell'agitazione di suo fratello nei confronti di un gruppo di ragazzine onestamente non la capiva, forse perchè neppure alla sua età lui si era sentito agitato quando si trattava dell'altro sesso, anzi era sempre stato piuttosto spigliato e, in linea di massima, sapeva sempre cosa dire o fare in certi casi. Dono naturale, probabilmente.
"Si, Stefano, ragazze! Tu lo sai cosa sono le ragazze, vero? L'altra metà del genere umano? Ci siamo noi e ci sono loro, simili a noi, ma del tutto differenti ed estremamente piacevoli da guardare, aggiungerei. Per non parlare di quanto sia piacevole avere a che fare con loro in prima persona. Certo, però, alcune sono anche decisamente fastidiose, bisogna saper scegliere." - rispose Damiano, prendendolo in giro - "Per la scelta affidati prima agli occhi, cioè scova quelle che ti piacciono e invitale a ballare. Poi, mentre balli con loro, parlaci. Scegli un argomento leggero, però, niente economia, storia o filosofia e se ce n'è qualcuna che per prima tira fuori questi argomenti allora mollala sul posto e passa alla successiva. Parlandoci avrai modo di capire un pò di cose e soprattutto di scovare quelle irritanti alla quali non rivolgere più la tua attenzione, hai capito?"
Stefano lo fissò con gli occhi terrorizzati e fuori dalle orbite.
"Assolutamente no!" - gli rispose.
"Assolutamente perfetto, allora!" - fece Damiano, dandogli una pacca su una spalla e lasciando la stanza mentre tratteneva a stento una risata.



Quella serata era l'esatta trasposizione di ciò che lui aveva sognato sommato a tutto ciò che Damiano gli aveva detto qualche ora prima.
Da un lato era meravigliosa, così ricca di ospiti, con una piccola orchestra a dare il ritmo giusto alle danze, cibo raffinato e vino pregiato servito nei calici adatti. Tutta la casa poi era stata illuminata da centinaia e centinaia di candele, forse migliaia e le decorazioni erano meravigliose, fatte di fiori bianchi e piccoli pendenti in cristallo che somigliavano tanto a leggere gocce di ghiaccio. Una festa perfetta agli occhi di chiunque. Lussuosa, ma contenuta allo stesso tempo, carica di allegria, ma non esagerata.
D'altra parte, però, c'era anche un risvolto della medaglia. Non appena aveva messo piede in sala, infatti, Stefano si era subito reso conto che Damiano non gli aveva mentito affatto quando gli aveva predetto che sarebbe stato il centro dell'attenzione di tutti i presenti. Tutti gli occhi erano puntati su di lui e la maggior parte di quelle persone non le conosceva se non per sentito dire. I signori presenti e le loro mogli lo coinvolgevano in continue chiacchiere in cui per gentilezza si lasciava trasportare, ma durante le quali si sentiva in profondo imbarazzo. Altri ragazzini della sua età lo chiamavano per nome e lo invitavano a prendere parte ai loro giochi qualche volta e ai loro discorsi e le giovani dame, le ragazze...beh...era vero anche che volevano ballare con lui, anzi loro si aspettavano proprio che lui le invitasse, non c'era via d'uscita.
A tratti si sentiva un pò soffocare, doveva ammetterlo.
"Una festa riuscita, non c'è che dire!" - la voce di Damiano gli arrivò dalle sue spalle, quindi si voltò leggermente per guardare l'espressione tronfia del fratello mentre lo affiancava.
"Che fai? Adesso ti fai anche i complimenti da solo?" - fece Stefano.
Damiano scrollò le spalle.
"So, perchè lo vedo, che ho fatto un ottimo lavoro nell'organizzazione quindi perchè fare il modesto e non darmene tutto il merito!?!"
"Perchè rischi di peccare di superbia?"
"E non è che tu adesso stai peccando di gelosia?" - lo stuzzicò Damiano.
"Geloso di te perchè hai organizzato una festa?" - ribattè Stefano.
"Non una festa, ma una festa meravigliosa!" - lo corresse suo fratello.
"Non sono geloso di te perchè hai organizzato una festa meravigliosa..." - chiarì Stefano con un lieve sorriso accondiscendente.
Damiano afferrò un bicchiere di vino che uno dei domestici era arrivato a porgli e ne bevve un sorso prima di rispondergli.
"Lo so che non sei geloso. Tu non sei mai geloso, queste cose non le fai e sai perchè? Perchè non sei un ragazzo, ma un giovane santo!"
Stefano si lasciò sfuggire una risata che contagiò non solo la bocca, ma anche gli occhi, i quali attirarono numerosi sguardi ammirati e bisbiglii.
Damiano gli diede una pacca su una spalla.
"Me ne torno alle mie danze!" - avvertii, lui che stava facendo mostra di tutte le sue doti da ballerino provetto da tutta la serata e in compagnia di ogni singola dama che catturava il suo sguardo - "Tu, piuttosto, dovresti cominciare a fare lo stesso, sai? E in proposito, quel gruppetto di ragazze laggiù potrebbe fare al caso tuo, fratellino!" - gli indicò con un colpetto al braccio il gruppo in questione e poi si dileguò tra la folla.
Stefano era divertito e un pò sorpreso. Conosceva bene suo fratello, ma quella era la sua prima festa in società e non lo aveva mai visto relazionarsi con nessuna donna. La cosa gli risultava un pò strana, anzi a risultargli strano era il totale autocontrollo di Damiano in quelle situazione: lui al solo pensiero di chiedere ad una dama di danzare moriva d'imbarazzo.
Prese un bel respiro e provò a fare qualche passo verso il gruppo che suo fratello gli aveva indicato, ma presto la sua marcia venne fermata dai risolini eccitati delle ragazze in fremente attesa che lo vedevano arrivare. Gli sembravano così...così...frivole, forse, ecco.
Se lo avesse detto a Damiano, lui gli avrebbe risposto che tutte le ragazze erano frivole, ma lui non ci credeva e pensò che forse se si guardava intorno sarebbe riuscito a trovare qualcuna con la quale non sentirsi ansioso o imbarazzato.
Avvistò una ragazza. Era seduta su una poltrona nell'angolo più appartato della sala e teneva un libro aperto tra le mani. Con tutto quel caos riusciva a trovare la concentrazione giusta per leggere: a Stefano piacque molto.
Cambiò direzione e si avvicinò alla giovane che, a giudicare dal viso, probabilmente aveva circa la sua stessa età. Era seduta, quindi non poteva osservarne l'altezza, ma aveva un portamento elegante e garbato e lo si notava da come sfogliava le pagina e da come teneva dritta la schiena. I suoi capelli erano di un dolce castano chiaro, con riflessi ramati e per quella serata erano acconciati in una semplice pettinatura che le lasciava scoperto il collo e riversava la cascata di boccoli lungo la schiena. Gli occhi, invece, erano chiari, dell'azzurro del mare e il naso piccolo apriva la strada ad una pocca rosa e delicata.
Era davvero molto bella, bella come tutte le altre dame nella sala, ma non gli faceva provare lo stesso imbarazzo che provava davanti alle altre. Stefano lo interpretò come un segnale.
Arrivò a qualche passo da lei e per tutta risposta la vide alzare gli occhi verso i suoi e sorridergli.
"Buonasera.." - esorsì Stefano, esitante, ma cordiale.
La giovane si alzò e si esibì in un perfetto ed educato inchino.
"Buonasera!" - gli rispose.
"Io sono Stefano Salvatore, figlio minore del conte Giuseppe!" - si presentò.
"Lo so, vi conosco, la festa è stata data in vostro onore, giusto?" - fece lei.
"Si, da mio fratello maggiore, Damiano!" - annuì Stefano - "Ma, se non sono indiscreto, il vostro nome?"
Le sorrise e scosse la testa, con le guance che le si imporporavano per il leggero imbarazzo.
"Si, giusto, scusate, avete ragione, il mio nome. Io sono Cecilia della Torre, unica figlia del marchese Alessandro, è un piacere conoscervi Stefano!"
"No, no, il piacere è mio, Cecilia!" - disse lui, poi esitò un attimo e alla fine fece un bel respiro e si buttò - "Mi chiedevo se vi andava di danzare con me..."
La ragazza sorrise e annuì, porgendogli la mano che lui accompagnò con la sua fino alla pista da ballo.
Danzarono a lungo e parlarono ancora di più. Stefano si sentiva incredibilmente a suo agio con Cecilia e lo stesso pareva provare lei. In lontananza il ragazzo riusciva ad avvertire lo sguardo divertito di suo fratello su di se e, onestamente, non vedeva l'ora di restare solo con lui per chiarirgli che non tutte le ragazze era sciocche come lui diceva che fossero. Cecilia non lo era, ad esempio. Lei, al contrario, era intelligente, curiosa e desiderosa di apprendere. Stefano trovava che la conversazione con la ragazza fosse piacevole e semplice e insieme avevano scoperto di essere molto simili e di avere interessi in comune, come la storia e la letteratura.
Dopo qualche ora di musica ci fu una piccola pausa che Stefano e Cecilia decisero di sfruttare per riprendere fiato e mangiare qualcosa, quindi si avvicinarono ad uno dei lunghi tavoli ricolmi di cibo e presero a mangiucchiare qualche acino d'uva fresca, mentre aspettavano che gli servissero qualcosa di più sostanzioso.
"Posso farvi una confessione, Stefano?" - fece lei.
Lui annuì.
"Non credevo di poter passare una così piacevole serata, infatti avevo con me ben due libri per prevenire la noia!"
A Stefano scappò una risata.
"Davvero queste feste di solito sono così noiose come dite?" - chiese, curioso.
Aveva scoperto che la ragazza aveva un anno più di lui e che aveva già preso parte ad altri eventi mondani simili a quello.
"Beh si! Almeno per quanto mi riguarda ovviamente! Non c'è mai nessuno con cui intrattenere una conversazione interessante e tutti pensano soltanto alle danze e al vino e ad accasarsi..."
"Accasarsi?"
"Certo! La maggior parte delle donne presenti a questa festa sono state portate qui dai loro padri con l'intento di trovare marito!" - spiegò Cecilia.
"Marito?" - ripetè ancora Stefano, visibilmente sorpreso.
Davvero stavano succedendo quelle cose durante la sua festa di compleanno?
"Si si! Vostro fratello, ad esempio, è riconosciuto come un buon partito per via del suo rango, dei suoi modi affabili e del suo bell'aspetto."
"Riconosciuto da chi?"
"Da tutti! Anche se ci sono alcuni nobili che hanno non poche riserve sul fatto che parrebbe essere un pò...ehmm...irascibile? Scapestrato? E' vero?"
"Cosa?" - fece Stefano.
"Che vostro fratello è irascibile e scapestrato!" - chiarì Cecilia.
"Beh....non è esattamente la persona più semplice del mondo ed io per primo riconosco che siamo molto diversi caratterialmente, ma mio fratello è una brava persona. Ha sofferto molto, anzi troppo nella sua vita e non gli è mai stato riconosciuto da nessuno il merito di essere stato in grado di andare avanti nel migliore dei modi e di aver aiutato me in ogni fase della mia crescita! Quindi....quindi chiunque abbia queste riserve dovrebbe farsele passare perchè qualunque dama un giorno avrà forse l'onore di essere amata veramente da mio fratello verrà amata con così tanto ardore, profondità e devozione che potrà considerarsi tranquillamente la più fortunata tra le donne!"
Stefano si bloccò di colpo, sotto lo sguardo sbalordito di Cecilia. Non aveva voluto dire tutte quelle cose e con quel  tono deciso quando aveva cominciato a parlare, ma poi le parole erano venute da sole, erano state una raffica che lui non era riuscito a fermare.
Non che se le rimangiasse in alcun modo, ma temeva di essere stato scortese nei riguardi della ragazza che aveva davanti, ma lei scoppiò a ridere e portò una mano a nascondersi le labbra mentre lo faceva.
"Mi pare di capire che siete molto legato a vostro fratello, vero?" - fece.
Stefano sorrise e annuì: "Già! Così pare!"
Entrambi ripresero a ridere, almeno finchè uno dei domestici non arrivò ad attirare l'attenzione di Stefano, consegnandogli una scatolina ed un breve messaggio: suo padre si scusava, gli augurava di cuore buon compleanno, ma doveva lasciare la villa per altre questioni. In cambio gli aveva lasciato il suo regalo, cioè una pregiata spilla in oro e smeraldi da apporre al taschino della sua giacca.
Stefano lasciò perdere il dono e rilesse il messaggio. I suoi occhi inevitabilmente divennero cupi per la tristezza.
Non lo aveva mai reso palese a voce alta, ma per lui il fatto che suo padre ci fosse era importante. Da quando i rapporti tra suo padre e Damiano sembravano essersi irrimediabilmente rotti, aveva come l'impressione di non riuscire a stare con l'uno senza fare un torto all'altro. Era terribile e non voleva che fosse così, non doveva essere così, la sua famiglia....loro tre avrebbero dovuto restare uniti, ma così non era e lui si sentiva incapace di fare qualsiasi cosa.
In quel momento la festa perse ogni sua attrattiva e lui si ritrovò a cercare suo fratello con lo sguardo: se avevano detto a lui che Giuseppe aveva lasciato la villa, sicuramente avevano avvertito anche Damiano.
Lo vide uscire in terrazzo e la cosa lo preoccupò all'istante.
"Stefano? State bene? Siete improvvisamente diventato pallido!" - fece Cecilia.
Stefano si voltò verso di lei con la mortificazione negli occhi e le sorrise, prendendole le mani e scusandosi di tutto cuore.
"Si, non vi preoccupate, sto bene! E' solo che...adesso dovrei parlare un attimo con mio fratello..." - tentò di spiegare.
Damiano si sarebbe arrabbiato per via di quella faccenda e avrebbe litigato ancora una volta con Giuseppe, inasprendo di più i loro rapporti, cosa che Stefano non voleva affatto vista la situazione già precaria in cui vertevano. Quindi sarebbe andato a cercarlo e avrebbe tentato di fargli capire che in fondo non era poi una questione così importante, che lui capiva gli impegni di suo padre e lo perdonava e che se poteva farlo lui nel giorno del suo compleanno allora avrebbe potuto farlo anche lui, Damiano.
Probabilmente sarebbero solo state parole a vuoto, ma doveva almeno fare lo sforzo di provarci e lui ci avrebbe provato a far ragionare suo fratello, lui ci provava sempre.
Cecilia annuì lievemente e Stefano lasciò la sala sulle orme di Damiano.


Damiano fissava le stelle cercando la pace.
Sospirava e lo faceva in continuazione, ma non perchè sentiva il bisogno di placare la rabbia, no, a dire il vero di rabbia ne provava ben poca in quel momento. Forse quella sarebbe arrivata dopo, ma in quegli attimi ciò che provava maggiormente era...beh, nulla in particolare, era come se in fondo se lo fosse aspettato fin dall'inizio un menefreghismo simile da parte di Giuseppe.
Gli dispiaceva per la delusione di Stefano, quello si e probabilmente il giorno dopo avrebbe trovato quel dispiacere una ragione valida per impegnarsi in un'altra lite con suo padre, ma per quella sera l'unica cosa che gli pareva di sentire era lo scricchiolio indotto dallo sgretolarsi dell'ennesima speranza malriposta. Almeno per Stefano, il figlio ideale, aveva pensato che Giuseppe avrebbe fatto uno sforzo e invece pareva importarsi poco anche di lui quando l'unica cosa che suo fratello aveva fatto era cercare di essere il meno problematico possibile, visti già quanti problemi, a detta di Giuseppe, sembrava creare lui.
Pensieri vani, speranze al vento.
Damiano si chiedeva quando avrebbe finalmente imparato a smettere di credere che le cose per Stefano sarebbero andate diversamente.
Per quanto gli riguardava, aveva troncato i rapporti con Giuseppe ormai da tempo, neppure lo considerava più così tanto degno d'attenzione e si limitava ad intrattenere con l'uomo soltanto conversazioni che avevano a che fare col più piccolo di casa, ma negli ultimi mesi si era sforzato di capire anche il punto di vista di Stefano, di assecondarlo nel suo cercare un rapporto costruttivo con Giuseppe, ma in quel momento...in quel momento si ripromise di aprirgli gli occhi a quel suo fratello un pò troppo sognatore, un pò troppo idealista. Glielo avrebbe fatto capire: erano loro due e basta, loro due contro il mondo, Giuseppe si era escluso da solo e da tempo ormai, bisognava accettarlo!
La mano di Stefano gli si posò su una spalla. Come prevedibile l'aveva seguito.
"Hai saputo di nostro padre, vero?" - gli chiese.
"Già..." - fece Damiano - "Ma non ti preoccupare troppo, se temi una scenata di rabbia puoi stare tranquillo perchè non ci sarà!"
"Non sei arrabbiato?" - gli chiese allora, scettico, Stefano.
Damiano scosse la testa.
"Non particolarmente, no! Quindi torna pure dalla tua ragazza..." - lo prese in giro.
"Cecilia non è...non è la mia..." - tentò di ribattere, rosso d'imbarazzo, suo fratello.
Damiano sorrise leggermente.
"Stefano? Sul serio, torna dentro, tra un pò arriverò anch'io..." - fece, ma l'altro a quanto pareva non aveva intenzione di demordere quella sera: i quattordici anni dovevano avergli dato alla testa.
"Dovresti perdonarlo! E' un uomo impegnato e a me non importa davvero, mi va bene, lo perdono, devi farlo anche tu!" - gli disse, infatti.
Damiano lo fissò per qualche attimo e concluse che suo fratello era un pessimo bugiardo.
"Vieni con me..." - gli disse, avrebbe voluto farlo a fine serata, ma se così stavano le cose, allora...
Lo ricondusse in sala e poi in una stanzetta adiacente che di solito veniva usata per ricevere gli ospiti nel pomeriggio. I regali erano tutti lì e Damiano recuperò dal cumulo quel diario che quella mattina stessa aveva chiesto che fosse aggiunto al resto dei doni. Lo porse a Stefano.
"Cos'è?" - gli chiese quest'ultimo, con gli occhi fissi sul libricino che ora teneva tra le mani.
"E' un diario!" - fece Damiano - "Era di nostra madre. Lei ne scriveva a ripetizione e un giorno ne diede uno anche a me, quello che adesso sto regalando a te! Io non ci ho mai scritto nulla e onestamente credo di non essere adatto a tenere un diario. Io sono impulsivo, sono ostinato, non mi piace stare lì seduto a riflettere sui miei sentimenti, anzi credo che non mi piacciano particolarmente neppure i sentimenti in generale, con me è solo sprecato. Tu, invece, ne farai buon uso, lo so! E poi ne hai bisogno..."
Su quell'ultima piccola frase gli occhi di Stefano scattarono nei suoi.
"Ne ho bisogno?" - chiese.
Damiano annuì.
"Si, nei hai bisogno, Stefano! E sai perchè? Perchè prima mi hai guardato in faccia e mi hai mentito. Mi hai suggerito di perdonare nostro padre perchè a te non importava affatto il fatto che fosse andato via e ti avesse lasciato solo anche nel giorno del tuo compleanno, ma ricordati che ti conosco troppo per crederti. Quella era una menzogna. Ti importa, ti importa molto e ci soffri. Si, l'hai perdonato, perchè tu sei fatto così, tu perdoni chiunque e per qualsiasi cosa, cerchi sempre di vedere il buono nelle cose e va bene, Stefano, davvero, ma non possiamo essere entrambi così. Non esiste solo il bene a questo mondo e qualcuno tra noi due deve pur vedere il fattore negativo delle cose e della vita in generale e quel qualcuno sono io perchè tu sei troppo onesto, troppo puro per riuscire a sopportare un tale peso." - rispose Damiano, in tono grave - "Quindi si, ne hai bisogno, hai bisogno di quel diario perchè hai bisogno di avere qualcosa in cui sfogare la sofferenza che senti ogni volta che ti ritrovi a scontrati con quella cattiveria che ti ostini a non vedere in niente e nessuno. E ne hai bisogno anche perchè ti serve qualcosa in cui annotare tutti i momenti belli della tua vita per poterli ricordare sempre visto che, ammettiamolo, la tua vita, la mia vita....non è poi questo granchè, non lo è mai stata!"
Stefano aveva seguito tutto il suo discorso con la testa china sulla copertina di pelle del diario. L'aveva sfiorata più volte con le dita e si era portato il libro al naso per ispirare il profumo della carta ormai vecchia.
Alla fine, dopo un lungo momento di silenzio, annuì.
"Tu non farai come ti ho chiesto, vero? Non lo perdonarai..." - disse.
"No, non lo perdonerò, ma ti prometto di non litigarci per questa faccenda, se è quello che vuoi!" - fece Damiano.
Stefano sospirò.
"Va bene! Grazie del regalo, Damiano, davvero!"
"Buon compleanno, fratellino!"


NOTE:
Ciao a tutti e buon giovedì sera!!!!
Ormai agosto è praticamente finito, da non crederci! Beh...come è andata la vostra estate? A parte il caldo, ovviamente!XD
Come sempre, ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo!!!
Per quanto riguarda questo, ammetto che lo sto postando, ma non mi convince molto. Non so, c'è qualcosa che non mi torna, forse perchè non è esattamente come avrei voluto renderlo.
Comunque...spero vi piaccia e per qualsiasi suggerimento o critica sapete dove trovarmi!
Come vi avevo detto sul blog, trattasi del compleanno di Stefan. Compie 14 anni, partecipa alla sua prima festa mondana, ha a che fare per la prima volta con le ragazzeXD, conosce Cecilia. All'inizio non era prevista, ma poi ho pensato che....diamine...ce l'avranno avuto un primo amore o qualcosa di simile, prima di Katherine, no? Quindi perchè non inserire questo "qualcosa di simile"? Stefan se lo merita, dai!XD
Giuseppe in questo capitolo non c'è stato, non attivamente almeno, ma ha dato comunque da parlare ai due fratelli. E ormai mi pare ovvio che sarà lui una delle cause che porterà alle prime rotture tra Stefan e Damon, soprattutto il modo dei due di vederlo e di relazionarcisi. Ormai Stefan è grandicello e nei prossimi capitoli ci saranno i suoi primi faccia a faccia descritti con suo padre, visto che fino ad ora quello che ci ha avuto a che fare di più nella storia è Damon. Vedremo come andrà...
Ah! Il regalo! Il primo diario di Stefan glielo ha regalato DamonXD Ammeto che questa è stata una genialata della mezzanotte di qualche sera fa ahaha
Vabbè..adesso vi lascio...
Vi aspetto lunedì 10 settembre sul blog per lo spoiler e per il prossimo capitolo...
A giovedì 13 settembre...BACIONI...IOSNIO90!!



lunedì 27 agosto 2012

Spoiler: "Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 6

Una volta, da bambino, sua madre lo aveva preso in disparte e gli aveva messo tra le mani uno strano libro. Non era molto grosso e neppure molto pesante o particolarmente bello. Era semplicemente un'insieme di fogli di carta spessa e leggermente ingiallita tenuti insieme da una rilegatura scadante e da una copertina in pelle marrone chiusa da un grosso spago nero. Un libro decisamente anonimo, ma che agli occhi di Damiano - che all'epoca aveva appena compiuto più o meno tre anni - aveva assunto la connotazione di "strano" non appena lo aveva aperto e aveva scoperto che al suo interno non vi era scritto perfettamente niente. Le pagine di quel libro erano nuove, libere da qualsiasi traccia d'inchiostro, non c'era neppure un segnetto sopra messo per sbaglio.
Si era rivolto a sua madre credendo che lo stesse prendendo in giro, ma lei gli aveva risposto che quello era un libro speciale, che era un diario, un libro che - udite, udite - veniva realizzato e venduto in bianco affinchè chiunque lo comprasse potesse scriverci quello che pensava circa le cose che gli accadevano.





Ecco qui lo spoiler!!!
Dallo scorso capitolo questa volta è trascorso soltanto circa un annetto, come vi avevo già detto i salti temporali da adesso in poi saranno veramente molto più brevi rispetto a quelli dei primi capitoli.
Che dire...questa è l'introduzione al capitolo, ovviamente il pov è di Damon e...ah, si! Cosa succederà nel capitolo? Ebbene....trattasi del quattordicesimo compleanno di Stefan, care lettrici!XD
ALLA PROSSIMA...BACIONI...IOSNIO90!!!

giovedì 16 agosto 2012

"Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 5

Ghiaccio

All’ennesimo sbadiglio di suo fratello, Stefano non riuscì a trattenere un sorriso. Non era educato comportarsi in quel modo nel bel mezzo della sua prima lezione con il nuovo precettore, Stefano lo sapeva e aveva cercato di comunicarlo anche a Damiano lanciandogli occhiate di traverso ogni volta che accennava ad uno sbuffo o a qualsiasi altro gesto che mettesse in chiara luce quanto fosse annoiato, ma dopo quattro ore di ininterrotti discorsi sull’economia fiorentina persino lui aveva cominciato a spazientirsi e a stancarsi.
L’uomo che faceva avanti e indietro davanti all’enorme tavolo in legno di noce dietro al quale erano seduti, però, sembrava troppo preso dal suo infinito discorso per accorgersi dello scorrere lento del tempo e del fatto che avesse perso la loro attenzione già un’ora e mezza prima.
Si chiamava Rodolfo Montanelli. Non troppo alto - raggiungeva al massimo il metro e settanta d’altezza -, era un uomo sui quarant’anni con folti capelli scuri e un viso grassoccio che bene si abbinava al corpo visibilmente appesantito dagli anni, dalla fatica e da qualche coscia di pollo di troppo. Era un erudito, tra i più rinomati di Firenze, per quel motivo suo padre lo aveva voluto a servizio nella loro casa non appena Damiano aveva raggiunto l’età adatta per cominciare ad essere istruito agli affari di famiglia. Era già da un anno infatti che Damiano vedeva settimanalmente quell’uomo per le sue lezioni private mentre Stefano ancora restava affidato alle cure della balia e del suo vecchio precettore che gli aveva insegnato le basi delle varie discipline e sport che i giovani nobili dovevano conoscere e praticare secondo l’etichetta.
Quel giorno, però, sebbene avesse solo tredici anni, suo padre gli aveva comunicato che avrebbe cominciato a seguire le stesse lezioni di suo fratello: Basta precettori diversi.
In un primo momento si era ritrovato ad essere un po’ confuso dalla cosa, ma Damiano, una volta rimasti soli, ci aveva riso su e svogliatamente gli aveva confidato la sua teoria secondo la quale Giuseppe probabilmente si era finalmente reso conto di non essere esattamente la persona preferita di suo figlio maggiore che, nonostante avesse ormai sedici anni, non era per niente interessato a riconoscere la sua autorità di padre o a fare come gli veniva detto, quindi aveva pensato di raddoppiare la posta e puntare anche sul suo secondo figlio geneticamente più incline  al compromesso, alla bontà d’animo e all’infinita pazienza che serviva per vivere in quella casa.
Stefano aveva cercato di ribattere, ma mentre ci pensava si era reso conto che in fondo, vista la situazione tra suo padre e suo fratello, forse Damiano non aveva poi così torto come lui voleva credere.
Stefano non giustificava suo padre, capiva Damiano e capiva anche il perché di tanto astio. Con il passare degli anni suo fratello, infatti, aveva cominciato a considerarlo sempre più come un suo pari, un amico, più che come il bambino che si era sempre sentito in dovere di proteggere in passato e di conseguenza aveva cominciato anche a sbottonarsi su determinati argomenti quando lui gli faceva una domanda in proposito, benchè si trattasse di questioni spinose.
In quel modo Stefano era venuto a conoscenza di molti fatti riguardanti suo padre che prima non conosceva e, se negli anni precedenti aveva fatto praticamente di tutto per far si che tra Damiano e Giuseppe le cose migliorassero, adesso aveva deciso di allentare la corda e non intromettersi più di tanto.
Questo però non significava che odiava suo padre.
Era consapevole del fatto che Damiano si, odiava davvero Giuseppe, ma lui non ci riusciva e poco importava ciò che faceva o aveva fatto perché in fondo restava sempre suo padre, l’unico genitore che gli era rimasto e l’unico con il quale, in fin dei conti, aveva avuto davvero l’opportunità di vivere e costruire un rapporto dato che sua madre gli era stata strappata quando lui era troppo piccolo anche solo per pensare di farlo.
Suo fratello non lo capiva e spesso avevano discusso per via di questo loro distinto modo di vedere le cose. Alla fine erano giunti alla conclusione che meno ne parlavano meglio era, ma questo, agli occhi di Stefano, aveva messo in luce quanto più passavano gli anni più, nonostante tenessero incredibilmente l’uno all’altro, la differenza caratteriale tra lui e Damiano cresceva e Stefano questa diversità un po’ la temeva perché sentiva che avrebbe potuto portare soltanto a due risoluzioni: li avrebbe divisi per sempre oppure li avrebbe uniti più che mai, fino alla fine. Tutto stava nel come loro due avrebbero affrontato e gestito la cosa.
“Arrivati a questo punto…avete delle domande da pormi?” - il signor Montanelli si bloccò al centro della stanza e pose fine al suo discorso con quella domanda.
Stefano si ritrovò a sperare che non cominciasse lui a fare domande su ciò che aveva appena detto perché non ne ricordava una parola, forse giusto solo l’inizio, poi si era perso.
Damiano, seduto di fronte a lui, lasciò cadere sul tavolo la penna d’oca con la quale stava giocando passandosela e ripassandosela tra le dita per potersi voltare a guardare il loro precettore con un sorriso talmente innocente che solo chi lo conosceva bene - in quel caso, solo Stefano - poteva scorgere il filo invisibile di furbizia che si celava dietro i suoi occhi e l’arricciatura delle labbra.
Stefano lo vide alzare educatamente una mano e scosse la testa, preparandosi al peggio.
Il signor Montanelli si risistemò una ciocca di capelli fuori posto e gli fece cenno di parlare.
“Hai una domanda, Damiano?” - chiese.
Damiano annuì: “Si, ce l’ho!” - fece - “Vorrei sapere se finalmente possiamo andarcene o dobbiamo rimanere ancora qui dentro a lasciarci annoiare da lei e le sue storielle…”
Appunto! Stefano calò il capo, in imbarazzo per Damiano, e si portò una mano alla fronte.
Il viso del signor Montanelli divenne dello stesso viola acceso del mantello che riafferrò da una sedia per buttarselo in fretta sulla spalle, all’apice della sua indignazione.
“Questo è troppo! Ed io che credevo che con suo fratello qui…aah! Il conte saprà! Il conte saprà!” - strepitò tanto forte che alcuni domestici accorsero per accertarsi di cosa stesse succedendo, ma non ebbero neppure il tempo di arrivare che vennero travolti dall’uomo e dai suoi libri che lasciavano la villa a passo di marcia.
Damiano lasciò la sua sedia e gli corse dietro fino alla porta della stanza, in modo che l’uomo potesse sentirlo mentre gridava: “Ci conto! Gli racconti tutto, se non lo fa lei, lo faccio io!”
Un tonfo proveniente dalla porta d’ingresso e la prima lezione di Stefano sul mondo della finanza finì.
“Sei stato irrispettoso, Damiano!” - fece, fissando gli occhi verdi sul fratello.
“Oh andiamo, Stefano! Come se non stesse annoiando terribilmente anche te! Ho fatto un favore ad entrambi!” - gli rispose Damiano.
“Va bene, ammetto che non è esattamente un insegnante a cui importa rendere la sua lezione più leggera in modo da mantenere l’attenzione dei suoi studenti, ma ormai siamo cresciuti e l’hai sentito nostro padre, dobbiamo cominciare ad interessarci agli affari della nostra famiglia, non possiamo restare bambini per sempre!” - disse Stefano con un sospiro.
“Il tuo discorso non farebbe una piega se non fosse per il fatto che io e te, Stefano, non siamo mai stati veramente dei bambini! Tu ancora meno di me! Quindi mi dispiace moltissimo, guarda, se nostro padre non lo capisce, ma fino ad adesso non si è mai interessato molto della nostra vita ed io non capisco perché noi dovremmo prendere alla lettera tutto ciò che dice! Adesso vuole che seguiamo le sue orme e diventiamo come lui, ma non credo si sia mai chiesto se è quello che noi vogliamo fare davvero. E se volessimo fare altro? Allontanarci dagli affari di famiglia e diventare…che ne so…medici, ad esempio?” - ribattè Damiano, facendosi serio.
Stefano aggrottò la fronte.
“Vuoi diventare un medico?” - chiese, ingenuamente.
“Non lo so, Stefano, non lo so!” - gli rispose suo fratello - “L’unica cosa che so è che non voglio diventare come Giuseppe Salvatore! Per nulla al mondo seguirò le sue orme!”


La notizia gli era arrivata nel tardo pomeriggio tramite un biglietto consegnato a mano dal cocchiere personale di suo padre. Ciò che c’era scritto in quel biglietto lo avevo lasciato leggermente spiazzato all’inizio, ma Damiano non era il tipo che si lasciava sorprendere spesso o troppo a lungo quindi aveva scosso la testa e aveva provato a pensare alle possibili idee che erano passate per la testa di suo padre prima di decidere che era ragionevole portarlo con se durante una delle sue feste galanti tra nobili banchieri fiorentini.
Non poteva trattarsi di una questione d’età. Lui ormai aveva sedici anni e a quelle feste avrebbe dovuto essere ammesso già da qualche anno, cosa che suo padre non aveva mai voluto a causa della sua indole turbolenta, come gli piaceva dire ai suoi conoscenti per vantarsi di sapere perfettamente come fare a tenerlo a freno. E Damiano non credeva neppure che si trattasse di una questione di improvviso amore paterno nato dalla voglia irrefrenabile di trascorrere più tempo con lui e recuperare il loro rapporto. Giuseppe non era così. Se lui era orgoglioso, allora suo padre lo era infinitamente di più e non si sarebbe mai abbassato a calare la testa per primo davanti ad un figlio che non aveva voluto costruire nessun tipo di rapporto con lui, almeno a detta di Giuseppe.
La verità, però, la conosceva solo Damiano e se la teneva ben stretta nel suo cuore visto che sapeva che farla uscire non avrebbe portato a niente se non, forse, ad una sonora risata da parte del suo genitore.
Lui non aveva voluto tutto quell’astio e tutto quel disprezzo, nonostante fin da bambino avesse sempre trovato difficoltoso aprirsi con suo padre così come faceva con sua madre, Damiano non aveva mai voluto che i rapporti si deteriorassero fino a quel punto.
Insomma, quale ragazzino della sua età lo avrebbe voluto?
Lui forse era anche fin troppo irremovibile, ma suo padre non si era mai sforzato neppure di capirlo. Si era semplicemente chiuso a qualsiasi tipo di legame sia con lui che con Stefano ed era diventato più simile ad un comandante d’esercito che ad un padre vero. E se da una parte aveva trovato vita semplice con Stefano ed il suo cuore buono, purtroppo per lui Damiano non era dello stesso avviso.
All’inizio si era anche sforzato di capire il dolore che suo padre probabilmente avvertiva per la morte di Margherita, ma più passavano gli anni, più Giuseppe aveva davvero fatto di tutto pur di dimenticarsi completamente di lei e di fare in modo che anche loro due dimenticassero.
Forse credeva che così sarebbe stato più semplice andare avanti, ma Damiano pensava che al contrario questo comportamento peggiorava solo le cose.
Lo ripeteva sempre a Stefano: non dovevano dimenticare, ma piuttosto ricordare ogni singolo momento trascorso con Margherita e fare di quei momenti un faro di speranza nelle situazione più drammatiche e buie.
Damiano viveva per questo, per ricordare. Si rendeva conto che probabilmente con tutto il sarcasmo e il cinismo che utilizzava ogni giorno non stava crescendo come l’angioletto che sua madre avrebbe voluto che fosse, ma si stava sforzando per far si che almeno Stefano crescesse seguendo la retta via.
Aveva promesso di proteggere suo fratello e lui non dimenticava mai una promessa.
Cercava di evitargli ogni delusione, cercava di evitare che un qualsivoglia sentimento negativo si annidasse dentro di lui. Faceva del suo meglio e, anche se era davvero triste pensare che la prima persona dalla quale doveva proteggere Stefano credeva che fosse proprio suo padre, non poteva fare a meno di guardare suo padre, guardare i suoi atteggiamenti ed immaginare quanto danno avrebbe potuto causare all’animo candido di Stefano se solo si fosse insinuato troppo nella sua vita.
Lui era un combattente, Giuseppe era il nemico e la salvezza di Stefano era la posta in gioco: vederla così forse rasentava il melodramma, ma lo aiutava a razionalizzare tutto, anche il lieve senso di colpa che provava quando dichiarava chiaramente di odiare l’uomo che gli aveva dato la vita.
A conti fatti, quindi, non potendosi tirare indietro in nessun modo, fece un lungo bagno, si vestì e acconciò i capelli secondo la moda maschile del momento, pronto per partecipare a quella sua prima festa importante alla quale non sapeva neppure perché ci andava o perché suo padre voleva portarlo.
La carrozza arrivò puntuale all’ora che gli era stata riferita. Suo padre passò in casa giusto qualche minuto per potersi cambiare d’abito e poi gli fece cenno di seguirlo.
Damiano salutò Stefano, confuso almeno quanto lui, lasciandogli un bacio sulla fronte e raccomandandosi di andarsene a letto presto, subito dopo cena e senza storie.
Stefano gli ricordò che non era più un bambino e che sapeva cosa fare e poi lo lasciò libero di andare.
Raggiunse suo padre e, senza una sola parola, la carrozza partì avvolta dal buio freddo di quella sera di inizio febbraio.
Restarono in silenzio per parecchio tempo e solo quando i cavalli cominciarono a calpestare la dura pietra della strade di Firenze Damiano si decise a porgere la domanda che si faceva da tutta la sera.
“Perché mi avete portato con voi questa sera?” - chiese, sfacciatamente, guardando suo padre dritto negli occhi, come era solito fare.
“Hai l’età giusta ormai…” - si sentì rispondere, ma Damiano non se la bevve e rise.
“Avevo l’età giusta già tre anni fa. E, anzi, se è una questione d’età allora anche Stefano adesso ha l’età giusta eppure non lo avete portato.” - fece Damiano.
Giuseppe alzò gli occhi al cielo, quasi sbuffando, con irritazione.
“Lo faccio per te, Damiano, sarebbe umiliante presentarti adesso, a sedici anni, accompagnato dal tuo fratellino di tredici. Gli altri invitati penserebbero che tu abbia qualche problema comportamentale o di apprendimento che mi ha impedito di presentarti in pubblico all’età adatta.”
Damiano lo fissò, con un sopracciglio alzato in segno di scetticismo puro e la bocca piegata in un sorriso di sfida.
Adesso pensava pure alla sua reputazione, certo…
“E non è esattamente la stessa cosa che penseranno adesso, con o senza Stefano? E non è esattamente la stessa cosa che penseranno di lui quando poi lo presenterete?” - ribattè - “Avreste dovuto portarlo! Io posso anche gestirla tranquillamente un’umiliazione, lui no!”
“Non ci saranno umiliazioni di sorta!” - lo interruppe Giuseppe - “Penseranno semplicemente che siamo una famiglia un po’ chiusa e che abbiamo preferito aspettare…di nostra propria scelta! Questa sarà la mia versione dei fatti e questa sarà anche la tua. Senza discutere, Damiano!”
Il ragazzo sorrise ancora e alzò le mani in segno di resa.
“Se me lo chiederanno, dirò quello che volete, ma…giusto per curiosità personale…esattamente perché non mi avete presentato quando avevo l’età adatta invece di aspettare?”
“Perché tu hai davvero dei problemi comportamentali, Damiano! Ma questo non significa che voglio che qualcun altro lo sappia fatta eccezione per la nostra famiglia.”
Damiano annuì.
Certo che era davvero uno stupido a porgere certe domande! Lui aveva problemi comportamentali, problemi di disciplina, probabilmente era pure pazzo perché fin da bambino sapeva ragionare con la sua testa! Suo padre aveva davvero ragione, ovviamente.
Scosse la testa e si zittì, lasciando vagare lo sguardo oltre il finestrino della carrozza fino a che l’andatura del veicolo rallentò e poi si fermò davanti all’ingresso di un’imponente palazzo nei pressi del centro della città.
Il cocchiere gli aprì la porta e aspettò che lui e suo padre scendessero prima di fare un lieve inchino e portare via i cavalli e la carrozza.
Giuseppe prese a lanciare occhiate di saluto agli uomini che arrivavano a frotte e Damiano si limitò a seguirlo tenendo sempre il mento alto e gli occhi a guardarsi bene intorno.
Il palazzo in cui erano ospiti apparteneva alla famiglia del marchese Carpin, un veneziano trasferitosi a Firenze per affari circa un paio d’anni prima. Era un lungo sontuoso, pieno di grosse statue e affreschi. Si respirava lusso e regalità ad ogni boccata d’ossigeno.
Con grande sorpresa di Damiano, quella che era stata organizzata quella sera non era una festa danzante e non erano ammesse donne. Era più una sorta di ritrovo di uomini impegnati nell’economia fiorentina che probabilmente avevano discusso di denaro tutto il giorno e che avrebbero continuato a discutere di denaro anche tutta la sera.
Era così…noioso e a tratti anche patetico. Si, era davvero patetico che la prima festa a cui suo padre lo trascinava era una festa per soli uomini.
Lui, ragazzo di sedici anni che stava appena imparando a vedere le donne sotto una nuova luce e a considerarle molto più che semplici prede dei suoi scherzi infantili, quasi si sentiva offeso nell’orgoglio.
Se gli era passato per la mente che avrebbe potuto far trascorrere in fretta la serata restando a dire grazie ai complimenti che avrebbe ricevuto dalla probabili dame presenti, ogni sua aspettativa era stata tremendamente delusa e la serata aveva preso a prospettarsi tremendamente lunga e difficile da digerire senza alcun diversivo che gli tenesse occupata la mente.
Prese un bel respiro e trascorse la prima mezz’ora stringendo mani e ascoltando suo padre mentre lo presentava ai vari ospiti cercando di metterci persino un pizzico d’orgoglio per lui nella voce.
Tutta finzione, Damiano lo sapeva, quindi fu ben felice di allontanarsi non appena le presentazioni finirono e suo padre si gettò a capofitto in una conversazione sulle nuove politiche di risparmio delle banche.
Vagò per la sala, mangiò qualcosa e finse addirittura di appassionarsi alla vista di uno dei tanti quadri del palazzo. Scambiò due parole con un anziano uomo e poi non potè non dire la sua quando ascoltò due ragazzi, anche loro figli di nobili, lamentarsi per l’assenza di musica e dame.
Era da solo, sul terrazzo che dava sul giardino interno, quando ascoltò per sbaglio uno strascico di conversazione tra due ospiti. Parlavano di suo padre, della morte di sua madre, di lui e di Stefano e di quanto trovassero vergognoso il comportamento che Giuseppe aveva tenuto negli anni e continuava a tenere ogni volta che qualche vecchio conoscente si lasciava sfuggire qualche buona parola per Margherita. Nessuna l’aveva dimenticata…tranne il marito.
Dicevano questo e Damiano in un primo momento si trovò perfettamente d’accordo con loro, ma poi ripensò alle parole che spesso Stefano gli aveva ripetuto - che Giuseppe era quello che era, ma restava comunque loro padre - e allora sospirò e andò da suo padre per riferirgli dell’accaduto.
Se esisteva una sola cosa al mondo sulla quale concordava con Giuseppe era la sua teoria secondo la quale i panni sporchi si lavavano in casa, senza che nessun estraneo ci mettesse bocca.
Richiamò l’attenzione di suo padre e con una scusa lo trascinò in disparte.
Gli raccontò ciò che aveva sentito, sperando ingenuamente si smuovergli qualcosa, ma l’unica reazione che ottenne fu una sonora risata di scherno.
Damiano si stranì e fece un passo indietro.
“Ti avevo detto di tenere le tue opinioni per te, Damiano! E’ oltraggioso il tuo comportamento, te ne rendi conto? Stasera ho voluto darti un’ occasione, ma tu l’hai sprecata come al solito con i tuoi vaneggiamenti!” - si sentì dire.
I suoi vaneggiamenti? Ma lo prendeva in giro?
“Ti comporti come un bambino! Tua madre è morta, ma se potesse si rivolterebbe nella tomba per via del tuo atteggiamento irrispettoso nei miei confronti e nei confronti dei sacrifici che faccio per farti avere una vita felice nonostante tutto. Ti sto offrendo un futuro, dei programmi, dei piani, ti ho portato qui stasera  per inserirti nel mio mondo, per darti la possibilità di crearti un futuro che altrimenti da solo non saresti mai in grado di mettere su e a te non interessa. Insulti me e le persone qui presenti senza il minimo ritegno! Se tua madre potesse tornare per vederti probabilmente la faresti morire di nuovo!”
Giuseppe si zittì e si guardò intorno, cercando di capire se qualcuno era riuscito a sentirlo oppure no.
Damiano, dal canto suo, si era completamente immobilizzato. Non pensava, non ci riusciva. Dentro di se sentiva un gelo mai provato, era come se ad ogni accusa di suo padre fosse cresciuta intorno al suo cuore una lastra sempre nuova e più spessa di ghiaccio scuro, nero come la notte e duro come la pietra.
Indurì la mascella e costrinse le sue palpebre a tornare a battere di nuovo visto che i suoi occhi erano ancora spalancati. Infine, tossì leggermente e lasciò prima la sala e poi il palazzo.
Neppure un paio d’ore prima, in carrozza, suo padre gli aveva detto che quella sera non ci sarebbero state umiliazioni e invece era stato lui stesso ad umiliarlo, nel peggior modo possibile tra l’altro, tirando in ballo sua madre e le uniche parole che mai avrebbe dovuto rivolgergli, non a lui che fin da bambino aveva sacrificato tutto di se stesso per far si che in quella maledetta villa brillasse ancora la debole fiammella della luce che aveva minacciato di spegnersi con la morte di Margherita.
Andò alle scuderie. Trovò la loro carrozza e sciolse uno dei cavalli, suo padre si sarebbe arrangiato.
Subito dopo, montò in groppa, diede un colpo di tacco e corse via.


Stefano aveva appena lasciato la biblioteca e si stava preparando per andare e letto. Per tutta la sera, da che Damiano aveva lasciato la villa con suo padre, aveva avvertito una strana ansia.
Di solito era sempre ansioso ogni volta che li sapeva insieme e da soli perché temeva che potessero discutere, ma quella sera…quella sera era diverso, era peggiore, quasi gli veniva mal di stomaco se si fermava a dare retta a quella sensazione.
Dopo cena si era ritirato per leggere qualcosa, sperando che così la sua mente sarebbe riuscita a trovare la pece necessaria a conciliargli il sonno, ma niente, non era valso a niente.
Era a metà della scalinata che portava al piano superiore quando sentì un rumore veloce di zoccoli e poco dopo vide la porta d’ingresso aprirsi sotto il peso di suo fratello che crollava in ginocchio lì, davanti a lui.
Corse giù, corse la Damiano, si inginocchiò anche lui, fece segno ai domestici di andare via e poi lo abbracciò.
Damiano non piangeva e il suo viso non era né turbato, né arrabbiato, né sofferente. Stefano cercò allora gli occhi suo fratello e, per la prima volta in vita sua, provò paura nel far scontrare i suoi occhi verdi e brillanti con quelli neri di Damiano. Gli occhi di suo fratello erano talmente neri da ricordare un pozzo senza fondo, terribile e spaventoso, ma Stefano ci aveva sempre visto una luce, una luce che non glieli aveva mai fatti temere. Quella sera, però, era come se quella luce fosse scomparsa e avesse lasciato spazio soltanto al buio, al vuoto oscuro e assoluto.
Distolse lo sguardo. Non ci riusciva a fissarlo troppo a lungo.
“Damiano! Cosa….che è successo? Cos’hai?” - gli chiese, apprensivo.
“Lo odio, Stefano! Lo so che è da anni che lo ripeto, ma adesso mi rendo conto che in tutti questi anni non ho mai saputo davvero cosa significasse odiare qualcuno, odiarlo profondamente. Ero un bambino, non capivo fino in fondo, ma ora si, ora capisco…”
Stefano prese a scuotere la testa: “No, Damiano, no. E’ nostro padre, non…non possiamo odiarlo.”
“Quell’uomo ha smesso di essere nostro padre molti anni fa, Stefano! Io non voglio avere niente a che fare con lui, con i suoi progetti, con la sua vita….” - lo interruppe Damiano - “Vorrei che esistessimo soltanto io e te, fratellino, per sempre. Sarebbe tutto più facile!”
Stefano avvertì le lacrime salirgli agli occhi e spingere per uscire, ma le ricacciò giù. Non poteva piangere, non poteva essere quello debole in quel momento. Suo fratello aveva fatto tanto per lui, ora era il suo turno, ora doveva essere lui a fare qualcosa per Damiano.
Si alzò in piedi e gli afferrò una mano, costringendolo a fare lo stesso.
Nonostante fosse più piccolo di tre anni, era alto quasi quanto suo fratello quindi non gli servì metterci troppa forza.
Prese al volo il suo mantello e se lo buttò addosso.  Poi si fece portare in fretta due pesanti coperte e prese a correre trascinandosi dietro Damiano.
Lo portò sulla riva di un piccolo ruscello poco fuori dalla loro tenuta e nascosto in estate da fitti alberi. Era notte ed era inverno quindi l’acqua era gelata, ma Stefano non si perse d’animo e si voltò verso suo fratello intimandogli di togliersi i vestiti, salire sul tronco tagliato di un albero abbattuto di fianco a loro e tuffarsi in acqua.
“Sarà doloroso e dovrai uscire subito dopo il tuffo, ma questo è un dolore che puoi gestire e ti aiuterà a far passare in secondo piano quello che provi adesso e sul quale non riesci ad avere il controllo.” - spiegò - “Io ti aspetterò qui  con i vestiti asciutti e le coperte per scaldarti mentre torniamo a casa e al fuoco acceso che ci aspetta.”
Damiano non gli chiese nulla, rimase soltanto in silenzio ad ascoltarlo. Non protestò nemmeno, anzi fece esattamente ciò che lui gli aveva detto…e si lasciò aiutare.
Tornati a casa, si accovacciarono di fronte al camino acceso e Stefano si voltò a guardare suo fratello che gli restituì lo sguardo.
Qualcosa era cambiato in Damiano quella sera, ma nonostante questo Stefano sorrise nel rivedere di nuovo la piccola luce nei suoi occhi neri accendersi non appena quegli occhi incontrarono i suoi.
Suo fratello aveva fatto così tanto per lui nel corso degli anni e forse lui adesso aveva imparato a ricambiare.








NOTE:
Ciao a tutti! E Buon Ferragosto in ritardoXD Anzi, spero che abbiate passato una bella giornata ieri°° La mia è stata...molto rilassante si!
Allora...innanzitutto coma al solito ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo: nonostante sia pieno agosto siete lì a leggere e a commentare e non sapete quanto vi adoro per questo**
Andando al capitolo....allora...
C'è una notizia buona, almeno per meXD: I due fratelli non sono più bambinetti! *yeah* Lo ammetto, era davvero difficile scrivere dal punto di vista di un bambino di tre anni, quindi si, sono felicissima che mi siano diventati adolescentiXD
Cattiva notizia...beh, e che lo dico a fare, immagino che adesso odierete Giuseppe e se vi aspettate la redenzione...no, non ci sarà. Per quanto riguarda il suo personaggio l'obiettivo era renderlo odioso visto che nei libri, le rare volte in cui ne parlano, ci è sempre stato presentato come un vero bastardo. Io sto provando a renderlo tale e a dargli una ragione per essere un bastardo sfruttando il dolore che ha provato nel momento in cui Margherita è morta. Nella mia mente malata, infattiXD, Giuseppe nel momento del dolore non è stato in grado di affrontarlo e si è lasciato buttare giù, sempre più, fino a toccare il fondo del baratro dal quale, come sappiamo, non riuscirà più ad uscire e dal quale dubito che lui stesso voglia uscire. I due ragazzini sembrano essere leggermente più intelligenti, si sono aggrappati l'uno all'altro per andare avanti, cosa che lui non ha fatto, anzi, li ha respinti nonostante fossero i suoi stessi figli.
Poi...facendo un pò di conti, siamo al quinto capitolo quindi ne mancano altri cinque alla fine di questa storia. Nei prossimi capitoli i salti temporali saranno più ridotti visto che alla fine, prima della trasformazione in vampiri, restano da coprire soltanto altri loro quattro anni da umani. Saranno interessanti, pieni di bei momenti tra loro, ma vi anticipo già dei conflitti visto che vorrei che i loro rapporti all'arrivo di Katherine fossero già un pò compromessi e lei arrivasse quindi soltanto come la ciliagina sulla torta, la goccia che fa traboccare il vaso. Nei libri, in fondo, lasciano intendere che le cose siano andate proprio così e onetastamente questa è una delle modifiche che detesto del telefilm. Lì mostrano che mentre un attimo prima vanno d'amore e d'accordo poi arriva questa e BAM si odiano a morte e, detto francamente, lo trovo non solo patetico, ma anche riduttivo perchè va a sminuire quello che è un legame così forte come quello tra Stefan e Damon. Su questo, preferisco la versione del libro e giocherò come al solito su quella.
Vabbè...adesso vi lascio dopo questa nota lunghissimaXD
Vi aspettò lunedì 27 sul blog per lo spoiler mentre per il capitolo...
A giovedì 30...BACIONI...IOSNIO90!!!

lunedì 13 agosto 2012

Spoiler "Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 5

All’ennesimo sbadiglio di suo fratello, Stefano non riuscì a trattenere un sorriso. Non era educato comportarsi in quel modo nel bel mezzo della sua prima lezione con il nuovo precettore, Stefano lo sapeva e aveva cercato di comunicarlo anche a Damiano lanciandogli occhiate di traverso ogni volta che accennava ad uno sbuffo o a qualsiasi altro gesto che mettesse in chiara luce quanto fosse annoiato, ma dopo quattro ore di ininterrotti discorsi sull’economia fiorentina persino lui aveva cominciato a spazientirsi e a stancarsi.
L’uomo che faceva avanti e indietro davanti all’enorme tavolo in legno di noce dietro al quale erano seduti, però, sembrava troppo preso dal suo infinito discorso per accorgersi dello scorrere lento del tempo e del fatto che avesse perso la loro attenzione già un’ora e mezza prima.




Eccomi qui!!! Ed ecco lo spoiler!!!
Beh, beh, beh...che dire...anche loro hanno bisogno di istruzioneXD
Povero il tizietto che gli fa da precettoreXD
Nel capitoplo dal quale è tratto lo spoiler sono passati tre anni dal capitolo precedente, quindi i nostri cari fratellini  particamente sono adolescenti. Damon di sicuro visto che ha 16 anni e Stefan è agli inizi con i suoi 13 anni. In questo capitolo Giuseppe avrà un ruolo importante e...per niente carino, così come non sarà carino il confronto tra lui e Damon. Padre degenere!!U.U
ALLA PROSSIMA...BACIONI...IOSNIO90!!!

giovedì 2 agosto 2012

"Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 4

Storie…

Quel giorno il cielo era uggioso. Un banco di nuvole di un grigio tenue copriva l’azzurro ed impediva ai raggi del sole di filtrare e portare luce.
Damiano e Stefano camminavano fianco a fianco, lungo il pendio della collinetta sulla quale era collocato il piccolo cimitero che ospitava una cappella e le tombe di tutti i loro parenti defunti, compresa quella di Margherita.
La leggera brezza proveniente da nord scompigliava loro i capelli e inebriava le narici dei due fratelli del profumo dei fiori freschi e delle foglie ingiallite dall’autunno che si staccavano dagli alberi e danzavano dolcemente fino a toccare il terreno fresco sotto le loro scarpe.
Damiano amava quelle giornate pregne di malinconia e trovava giusto che in un giorno simile ancora una volta il sole avesse deciso rispettosamente di nascondersi, come ogni anno.
Ne erano passati sette di anni da quando sua madre era scomparsa. Il dolore era sempre lì, ma Damiano credeva di stare imparando a conviverci. Non se ne sarebbe mai andato, non era così sciocco da credere il contrario, e probabilmente sarebbe stato sempre arrabbiato nei confronti di quel destino che l’aveva voluto così infelice, ma riportare indietro l’orologio e cambiare le cose non era fattibile e aveva un bambino di dieci anni a cui badare visto che negli anni Giuseppe non aveva fatto altro che allontanarsi sempre più da lui e da suo fratello. Da lui perché troppo impertinente ed incline ad accusarlo di poco rispetto alla memoria di sua moglie, da Stefano perché era troppo simile a lei e man mano che cresceva lo diventava ogni giorno di più sia nell’aspetto fisico che nel carattere.
Era per questi motivi che suo padre aveva deciso di prendere le distanze ed era per questi stessi motivi che Damiano aveva cominciato a nutrire dentro di se un sentimento simile al disprezzo verso quella figura paterna che si ritrovava. A suo dire, Giuseppe non avrebbe dovuto scappare davanti a Stefano e alla sua rassomiglianza con Margherita, anzi avrebbe dovuto ringraziare il Cielo che esistesse qualcuno che gli ricordasse, nei momenti più bui, che lei era esistita davvero, che non era stata solo un miraggio e che era sempre lì con loro.
Per quanto riguardava lui, Damiano si sentiva pienamente giustificato nei giudizi che dava su suo padre. Ad esempio quel giorno era il settimo anniversario della morte di sua madre e…Giuseppe dov’era? Ovviamente non lì con loro a rendere omaggio.
Non riusciva a capire cosa passasse nella mente e nel cuore di suo padre e a dire il vero aveva anche rinunciato a provarci: Damiano non era il tipo di persona che aveva la pazienza o l’interesse necessario per porsi simili domande a lungo, soprattutto quando si trattava di qualcuno nel quale aveva perso ogni fiducia.
Aveva tredici anni, era un uomo ormai, un piccolo conte e, come già detto, già doveva occuparsi di suo fratello, non poteva perdere tempo anche dietro a suo padre.
“Allora? Quest’anno cosa mi racconti?” - fece Stefano, strattonandogli la manica a sbuffo della giacca.
Damiano non si scompose mentre avanzavano tra le lapidi diretti verso quella sulla quale era inciso il nome di Margherita Landi, contessa di Salvatore.
“Non essere impaziente, Stefano!” - lo rimproverò piuttosto a bassa voce.
Uno dei domestici era con loro, alle loro spalle. Tra le mani teneva un grosso fascio di rose rosse e fragole mature provenienti dalla parte di giardino della loro villa che ai tempi Margherita aveva voluto e curato di persona.
Damiano fece cenno all’uomo di superarli, spolverare la tomba e posarvi la composizione di fiori e frutti, la stessa che portavano ogni anno in quello stesso giorno di inizio Ottobre.
Rimasero in silenzio per un po’. L’uomo che li scortava venne rispedito alla loro carrozza e i due fratelli rimasero soli.
“Ora si può?” - lo incitò ancora Stefano.
Damiano emise un finto sbuffo e ruotò gli occhi al cielo prima di voltarsi a guardarlo. Stefano già si era allontanato di qualche passo e stava prendendo posto all’ombra della grossa quercia che svettava in cima alla collinetta, a qualche metro dalla tomba che vegliavano.
Avevano una sorta di tradizione loro due. Damiano l’aveva cominciata circa cinque anni prima senza neppure rendersene conto quando, a otto anni, si ritrovò a dover spiegare ad uno Stefano di cinque perché mai Giuseppe non li avesse accompagnati al cimitero. Suo fratello iniziò a piangere e allora lui prese a raccontargli una storia, un piccolo aneddoto su Margherita.
Da quella volta, Stefano ogni anno pretendeva un racconto nuovo e Damiano lo accontentava, cogliendo la possibilità di sfogarsi lui stesso. Inoltre vedeva quei piccoli viaggi mentali indietro nel tempo come un buon esercizio per evitare di dimenticare quindi si spremeva le meningi più che volentieri.
Raggiunse suo fratello e gli si sedette di fianco sull’erba secca, stendendo le gambe davanti a se e appoggiando la schiena e la testa contro il tronco dell’albero alle sue spalle. Stefano, invece, aveva incrociato le gambe, si era voltato completamente verso di lui e aveva i gomiti puntellati sulle ginocchia in modo da poter poggiare la testa sulle mani strette a pugno sotto il mento delicato.
Damiano lo studiò per qualche attimo: con i capelli neri e gli occhi di quel verde brillante che incorniciavano quei tratti gentili e asessuati ancora da bambino, Stefano era davvero il ritratto di sua madre.
“Ti ho mai raccontato del perché mi piacciono tanto le fragole?” - fece.
Stefano scosse la testa.
“No, non l’hai mai fatto…” - rispose.
“Allora ascolta…”

                                                                               

                                                                                              …10 anni prima…
Aveva tre anni e stava correndo. Anzi, non stava correndo, Damiano stava letteralmente scappando, scappando via dalle cucine e dalla balia che si ostinava a ripetergli che al pomeriggio era salutare per i bambini mangiare della buona frutta fresca.
Damiano su questo non aveva nulla da obiettare. Ciò che non riusciva a capire era perché tutti quanti si ostinassero a volergli far magiare per forza cose rosse.
Qualche mese prima aveva chiesto ad un allevatore che consegnava la carne alla villa perché sembrava che avesse sempre le mani sporche di tinta rossa simile a quella che una volta aveva visto usare ad un pittore che aveva fatto un ritratto di sua madre su commissione di suo padre. L’allevatore si era fatto una bella risata e gli aveva risposto che quello che aveva sulle mani non era tinta, ma sangue, il sangue che colava dalla carne che mangiavano.
Damiano non aveva pianto, non era un bambino impressionabile, ma era rimasto così disgustato dalla cosa che aveva deciso che non avrebbe avuto più niente a che fare con nulla che fosse rosso, soprattutto se si trattava di cibo.
Non era un bambino impressionabile, ma era molto testardo.
Prese a rifiutare la carne, a non vestire più di rosso, portava avanti una fiera crociata contro i pomodori e adesso aveva preso ad odiare anche quel nuovo frutto che chiamavano fragola e a cui sua madre sembrava essersi appassionata.
La balia voleva dargli proprio delle fragole, un bel piattone grosso per giunta. Lui non poteva accettarlo quindi scappava.
Sua madre lo bloccò sulla soglia di casa e Damiano si rifugiò tra le sue braccia. La povera donna che gli era corsa dietro venne congedata e rimandata in cucina e sua madre gli chiese di raccontargli per filo e per segno cosa fosse successo.
Le disse della merenda e delle fragole e allora lei rise.
“In proposito a questo, ho una sorpresa per te!” - gli sussurrò.
Damiano allora la seguì in giardino, fino ad un angolino dove i giardinieri si stavano dando da fare per trapiantare grossi cespugli carichi di…fragole.
Tentò di nuovo la fuga, ma sua madre lo riacciuffò e se lo tenne stretto.
“Questa sorpresa non mi piace!” - si lamentò - “Io odio le fragole!”
Margherita gli rivolse un sorriso.
“Davvero non capisco come tu possa odiarle se neppure le hai mai assaggiate!” - obiettò bonariamente.
Damiano non seppe cosa rispondere e quando sua madre gli prese una mano si lasciò trascinare con poca convinzione accanto ad uno dei cespugli.
Margherita staccò una grossa fragola rossa e se la rigirò tra le mani per poi porgergliela.
Damiano scosse la testa.
“Annusala!” - lo incitò lei.
Il bambino, ancora poco convinto, ma incapace di dire di no a sua madre, sporse in avanti la testa ed inspirò a pieni polmoni il profumo emanato dal frutto che, nel mentre, era stato aperto a metà da Margherita in modo che l’odore fosse ancora più pronunciato.
Cercò di trattenersi, per orgoglio almeno, ma alla fine un sorriso gli si dipinse sul volto: quel frutto aveva il profumo più buono che avesse mai sentito.
“Adesso questa fragola non ti sembra buonissima nonostante sia rossa?” - fece sua madre.
Damiano annuì:“Si!”
“Quindi la smetterai di fare il testardo e di tenerti lontano da qualsiasi cosa sia rossa solo perché hai scoperto che ti disgusta la vista del sangue?”
Damiano annuì ancora.
“Perché non trovi che sarebbe un vero peccato se per orgoglio ti precludessi la possibilità di poter sentire un profumo simile o addirittura di poterne gustare il sapore?”
Per la terza volta, Damiano annuì.


“E da quel giorno le fragole sono diventate il mio frutto preferito…”-  finì Damiano.
Stefano gli sorrise, un sorriso luminoso che contagiò anche gli occhi.
“Quindi il sangue ti fa paura?” - fece all’improvviso, curioso.
Damiano si accigliò.
“Non direi che mi fa paura. E’ che mi disgusta solo a guardarlo, si!” - rispose - “A te non disgusta?”
Stefano scosse la testa.
“Non ci ho mai pensato, però…no, non credo. Un volta mi sono sbucciato un ginocchio e con un dito ne ho assaggiato un po’. Sa di ferro arrugginito, ma non mi è venuto mal di stomaco…” - fece.
“A me sarebbe venuto di certo, invece. Credimi! Decisamente meglio le fragole!”


Stefano amava quei momenti, i momenti in cui suo fratello, con gli occhi persi oltre l’orizzonte e la mente che vagava nei ricordi, gli raccontava di quando sua madre era ancora viva.
Amava quei momenti perché lo aiutavano a non dimenticare, perché lui aveva davvero tanta paura di dimenticarsi di lei.
Qualche anno prima, infatti, gli sembrava che ricordare i pochi momenti trascorsi con sua madre fosse molto più facile di quanto non lo fosse in quel momento. Aveva l’impressione che più cresceva più dimenticava le poche conversazioni e i pochi momenti che aveva potuto trascorrere serenamente tra le braccia di Margherita.
Non lo aveva mai detto a Damiano, non gli aveva mai confessato quel suo timore, ma credeva che in fondo non ce n’era neppure bisogno perché suo fratello, anche inconsciamente, lo sapeva già e per quel motivo lo accontentava con quella loro piccola tradizione annuale.
“Sai, Damiano? Ci ho pensato e anch’io ho un racconto questa volta…” - fece, interrompendo il silenzio tranquillo e rilassato che si era creato dopo la storia di suo fratello.
Si era messo disteso a pancia in giù sull’erba e stava giocando con una piccola pigna caduta da chissà dove e rotolata fino a lui mentre Damiano, con gli occhi al cielo, fissava i grossi nuvoloni sopra le loro teste.
“Davvero? E’ una novità! Di solito sono sempre io quello che racconta.”
“Lo so, ma adesso che sono grande ho pensato che è giusto se anch’io ti racconto qualcosa di tanto in tanto…” - rispose Stefano.
“Tu non sei grande, sei un bambino.” - obiettò Damiano.
“Tu non sei molto più grande di me.”
Damiano si voltò a guardarlo con una strana espressione neutra, come se stesse pensando a tutto e a niente, insieme.
Stefano si chiese cosa significava quello sguardo, ma non domandò nulla a suo fratello, nessuna spiegazione, perché in cuor suo sapeva che probabilmente una vera spiegazione non l’avrebbe avuta come spesso capitava in altre situazioni simili.
“Va, racconta la tua storia…” - fece Damiano, tornando di nuovo all’argomento originale e catturando totalmente la sua attenzione.
Stefano sorrise ed annuì.

                                                                                                                                     
                                                                                                                                                                                                                  …8 anni prima…

A soli due anni era quasi normale che un bambino avesse paura di restare da solo la notte. C’era un mostro nell’armadio, ce n’era un altro sotto il letto, un altro ancora era nascosto dietro le spesse tende di velluto pregiato e poi c’era il buio, c’era il silenzio, c’erano le ombre e gli scricchiolii. Era per questo che nessuno prendeva mai sul serio i capricci che il piccolo Stefano faceva ogni volta che doveva andare a letto e lui era ancora troppo piccolo per riuscire ad esprimere bene a parole ciò che in realtà gli succedeva.
Non era il buio a fargli paura e di certo non erano i mostri, ciò che lo spaventava erano le brutte cose che accadevano dietro le sue palpebre chiuse ogni volta che si addormentava.
Erano gli incubi il vero problema.
Aveva provato a spiegarlo, incespicando ad ogni singola parola. L’aveva detto alla balia, a suo padre, ma nessuno sembrava dargli retta. Nonostante questo, però, Stefano non piangeva e non se la prendeva troppo perché era ovvio che tutti dovessero occuparsi della sua mamma malata piuttosto che di lui.
Una notte l’incubo fu più brutto dei precedenti. Aveva sognato una grossa mano tutta nera e fumosa che si abbatteva sulla loro villa e schiacciava tutto, portando con se la sua mamma, lanciando via Damiano e suo padre e lasciandolo da solo.
Una volta sveglio si guardò intorno con gli occhi lucidi e, sentendosi oppresso dall’oscurità della stanza, scese dal suo letto e prese a vagare per la villa cercando qualcuno che potesse fargli compagnia.
Percorse il grande corridoio due volte prima che la porta della camera dove sua madre trascorreva la sua convalescenza sia aprisse e lei stessa ne venisse fuori, allarmata a causa dei rumori di passi che aveva sentito.
Stefano le corse incontro, sentendosi anche un po’ in colpa per averla fatta alzare dal suo letto. Da che aveva memoria, infatti, tutti non facevano che ripetergli che sua madre non andava disturbata, che doveva riposare per potersi rimettere in forze.
“Piccolino! Cosa succede?” - sua madre si abbassò e lo accolse tra le sua braccia, sulla soglia della camera - “Hai fatto un brutto sogno?” - gli chiese.
Stefano annuì, cercando di trattenere le lacrime che quella volta forzavano più del solito per uscire.
Lei gli sorrise, lo prese in braccio e lo portò con se nel suo letto, lasciando che le si accoccolasse di fianco.
“Anche io faccio spesso dei brutti sogni, sai? Sogno di allontanarmi da voi, ma non voglio…” - fece lei - “Se vuoi posso raccontarti una storia che raccontavo a Damiano e che adesso racconto a me stessa per darmi coraggio.”
Stefano si strofinò gli occhi con le due mani chiuse a pugno e la guardò.
“Quale storia?” - chiese.
“Parla di una principessa che viene rapita da un drago e di un principe che vuole salvarla. Ti va di ascoltarla?”
Stefano annuì, sorridendo.
Per le due notti successive sua madre tornò a raccontargli la stessa storia fino a che lui non riuscì ad impararla. Quando riuscì a ricordarla da solo prese a pensare a quella storia ogni volta che lo mettevano a letto e, senza neppure rendersene conto, smise di fare incubi e cominciò solo a sognare di scintillanti armature, posti lontani ed incantati e bellissime principesse dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri come il mare.

Damiano sorrise.
“La ricordo quella storia! Non sapevo che la conoscessi anche tu! Io gli ho cambiato il finale.” - fece.
“Lo so. La mamma me lo disse. Anch’io ho cambiato un po’ la fine…” - rispose Stefano.
“Sei tornato alla teoria del principe che salva la principessa e uccide il drago cattivo?” - gli chiese suo fratello.
“No! Ho tenuto la tua versione con il drago che si rivela buono e la principessa che diventa sua amica, però ci ho aggiunto anche il principe con loro così possono essere felici tutti e tre!” - spiegò Stefano.
“Tu vuoi sempre vedere tutti felici, vero?” - fece Damiano.
Stefano si illuminò e sorrise, scrollando le spalle: “Certo! Se tutti sono felici è più bello, no?”


Stefano si era addormentato in carrozza. Era stata una giornata stancante quindi, di rientro alla villa, Damiano aveva dato disposizioni affinchè nessuno lo svegliasse e uno dei domestici lo prendesse in braccio e lo portasse direttamente nel suo letto.
Mentre guardava suo fratello ripensò ad un breve scambio di battute che avevano avuto durante il giorno. Lui gli aveva detto che era ancora un bambino e Stefano aveva ribattuto che neppure lui era così grande. Lì per lì Damiano non aveva ribattuto perché sarebbe stato un discorso troppo difficile da far capire a suo fratello, quello circa le responsabilità che si era assunto sin da piccolo - responsabilità che dovevano essere di suo padre e non sue - solo affinchè lui non dovesse avere pensieri e potesse vivere sereno la sua infanzia.
Si illudeva. Sapeva che Stefano in realtà non era per niente sereno perché nessun bambino costretto a vivere col dolore che gravava loro sul cuore avrebbe potuto essere davvero tranquillo, ma gli piaceva pensare che grazie ai suoi sforzi suo fratello riuscisse almeno a costruirsi qualche vago ricordo felice visto che non poteva vantare i suoi stessi anni di felicità con Margherita ancora in salute.
La casa era silenziosa. Il sole era tramontato da qualche ora ormai e lui stava letteralmente morendo dalla fame. Mentre metteva piede nell’atrio all’ingresso sperò che suo padre almeno avesse fatto preparare una cena gustosa.
Si sfilò i guanti e la mantella che lo proteggeva dal freddo ed incontrò proprio suo padre che scendeva la scalinata dal piano superiore. Giuseppe era molto elegante quella sera e i guanti, invece di toglierli, li stava indossando.
“Siamo tornati…”- mugugnò Damiano.
“Lo vedo! Stefano?” - chiese suo padre.
“Si è addormentato. Era stanco e l’ho fatto mettere a letto. Non ha cenato, però.”
“Dai disposizioni affinchè tengano le sue porzioni in caldo nel caso si svegliasse tra qualche ora altrimenti domattina assicurati che faccia una colazione più abbondante del solito che compensi il pasto saltato.” - rispose, pratico e sbrigativo, Giuseppe.
“Signor conte? La sua carrozza è pronta.” - interruppe uno dei cocchieri.
“Passeremo prima a villa Curati, dà altra acqua ai cavalli mentre ti raggiungo.” - fece Giuseppe.
L’altro uomo prese congedo e fece come gli era stato ordinato.
Damiano guardava suo padre con un cipiglio perplesso e per niente amichevole.
“Dove stai andando, se mi è permesso chiederlo?”
“C’è un ricevimento importante a cui non posso mancare stasera. Si tiene alla villa del marchese Della Torre.” - spiegò Giuseppe.
“E perché passi prima a villa Curati?”
Giuseppe non si voltò neppure a guardarlo. Si risistemò la giacca, indossò la sua mantella e marciò verso la porta mentre gli rispondeva: “La contessa Bianca Curati sarà la mia dama, stasera!”
Fu in quel giorno, nel giorno del settimo anniversario della morte di Margherita, che il disprezzo di Damiano per suo padre si trasformò in vero e profondo odio.






NOTE:
Ciao a tutti!!!! E Buon inzio agosto, eh!XD
Come vanno le vostre vacanze? Io inizio sabato, quindi appena torno poi vi dirò!!!
Allora....come vi avevo già preannunciato sul blog questo è un capitolo un pò malinconio e fatto di flashback. Mentre scrivevo ho pensato che forse il fatto di ritornare sempre sulla morte di Margherita potrebbe risultarvi noioso, ma io sono convinta che sia proprio questa esperienza ad aver segnato più di ogni altra cosa i due fratelli. Inoltre teniamo presente il rapporto quasi simbiotico che Damon aveva con lei e il desiderio di un rapporto simile che Stefan avrebbe voluto altrettanto avere con sua madre, ma non ha potuto. Ecco, provando a calarmi nei loro panni, ho pensato che probabilmente anch'io mi sarei portata dietro quel dolore per il resto della mia vita così come stanno facendo loro.
Inoltre è questo dolore che sta contribuendo ad unirli sempre di più, il dolore e l'indifferenza di Giuseppe, certo.
Ormai gli stessi Stefan e Damon, seppure ragazzini, hanno stretto davvero un rapporto a loro volta simbiotico tra loro e sono questi piccoli momenti tra fratelli che lo dimostrano o almeno spero lo facciano. Più cresceranno, però, più le cose cambieranno, soprattutto per via di Giuseppe.
Al momento - non so se l'avete notato - mi sto concentrando molto soprattutto sulla visione che Damon ha di suo padre e non sulla visione che ne ha Stefan e a lungo andare, quando anche Stefan sarà chiamato a dire la sua, allora cominceranno i problemi e le in comprensioni, ma questo lo spiegherò meglio più in là nella storia.
Adesso vi lascio** Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo**
Vi aspetto lunedì 13 agosto sul mio blog per lo spoiler mentre per il prossimo capitolo...
A giovedì 16 agosto...BACIONI...IOSNIO90!!!