giovedì 25 ottobre 2012

"Le Porte del Tempo: Passato" - Epilogo


Epilogo

Caro Diario,
E' notte fonda ed è trascorso soltanto un giorno da quando ho lasciato Venezia. Prima di partire il mio più grande timore era quello di non essere abbastanza preparato per ciò che avrei trovato al mio arrivo. Però, avevo tentato di convincere me stesso che non potesse trattarsi di nulla che non fossi in grado di gestire. Era da Damiano che mi stavo recando, era mio fratello ciò che avrei trovato alla fine del mio viaggio!
Mi sono illuso. Lui non ci ha messo molto a farmi comprendere che i miei timori erano fondati. Perchè davvero –
davvero!
- mi sono riscoperto ad essere del tutto incapace di affrontare ciò che mi ero ritrovato davanti: la sua freddezza, il suo distacco ad ogni costo.
Ho sempre saputo che Damiano non era come me, che tra di noi, che tra l'indole mia e la sua, c'era un abisso enorme, ma sono stato così ingenuo da non preoccuparmene abbastanza, forse. Vedevo qual era il suo atteggiamento nei confronti degli altri, dei nostri conoscenti e amici, di nostro padre e mi rendevo perfettamente conto che era un atteggiamento completamente diverso da quello che teneva con me. Con me era attento, premuroso a modo suo, protettivo oltre ogni limite ed estremamente rassicurante, nei modi e nelle parole. Forse sono stato troppo presuntuoso; ho creduto che per me avrebbe sempre fatto un'eccezione, che mi avrebbe sempre mostrato soltanto il suo lato più gioioso e comprensivo.
La realtà è stata dura d'accettare, lo è tutt'ora.
Ho la terribile sensazione che, d'ora in avanti, lui continuerà davvero ad esserci sempre per me, ma che il suo atteggiamento sarà questo: freddo, cinico, scostante...
Non so a cosa mai di buono porterà, non so neppure se finirò io stesso per cambiare così come è successo a lui. Sempre ammesso che a Damiano sia soltanto capitato e che lui non l'abbia voluto, certo. Mi riesce difficile, tuttavia, credere che lui non abbia avuto il controllo di qualcosa. Persino per quanto riguarda i sentimenti, gli unici in grado davvero di sfuggire al suo comando, mio fratello è riuscito a trovare un modo per esercitare il suo controllo, nel bene o nel male, semplicemente escludendoli quasi del tutto quando diventano troppo forti ed ingombranti. Anche in questo caso, nel caso dei sentimenti, avevo creduto di essere l'unica eccezione, l'unico per il quale non bloccava nulla di ciò che sentiva, eppure...
Mi sento terribilmente confuso, caro diario. Io ho desiderato la mia indipendenza e sono certo della mia scelta, ma sapere che avrei sempre potuto contare su un appoggio positivo di Damiano mi rincuorava. Ora dovrò camminare da solo, realmente da solo. Non escludo che addirittura le cose potrebbero mettersi peggio tra di noi, in futuro, perchè ormai tutto potrebbe essere.
E' giusto così? E' normale per due fratelli arrivare ad un punto di così forte distacco com'è quello a cui sento che siamo arrivati noi? Prima o poi va così per tutti? Ognuno fa la sua vita e...basta?
Domande, domande, domande....

Avrò mai delle risposte vere?

                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Stefano




 
Le cose si mossero in fretta per entrambi i fratelli dopo la partenza di Stefano da Venezia.
Damiano, che sentiva che la sua vita era stata di nuovo messa in subbuglio da quella visita più di quanto volesse dare a vedere, si ritrovò in preda alla rabbia e cominciò a
sbagliare
.
L'errore divenne presto una costante per lui a cui era bello aggrapparsi. Gli dava divertimento, soddisfazione e la serie di problemi che causava a se stesso gli davano da pensare quel tanto che gli serviva per non tornare sempre sul suo punto fisso: la sua famiglia che, essenzialmente, per lui era risieduta sempre in suo fratello soltanto e nel ricordo lontano di sua madre.
L'università aveva perso d'attrattiva e l'abbandonò senza rifletterci neppure troppo. Presto, Venezia stessa cominciò a stargli stretta e decise di spostarsi. Cominciò a vagabondare. Stefano una volta gli aveva detto che desiderava che lui trovasse la sua strada, lui sentiva di star facendo proprio quello, conoscendo il mondo alla sua maniera, ovviamente. Forse suo fratello aveva altro in mente, voleva per lui una vita degna di essere vissuta, ma era Damiano quello che non era così convinto di volerla una vita simile, non alle misere e ristrette condizioni che il mondo in cui vivevano imponeva, comunque.
C'era un motivo se si era sempre dato da fare per suo fratello e mai per se stesso. Aveva capito presto, infatti, che quello portato per la costruzione di un'esistenza degna entro quei canoni era Stefano, non di certo lui. Se mai fosse esistito qualcosa di adatto a lui, era piuttosto certo che non era lì, in quel mondo. Ma quello era l'unico mondo possibile, giusto? Non ne esistevano di altri. Tutto ciò che poteva fare era arrangiarsi di conseguenza.
Vagabondava da tre mesi quando si ritrovò vicino Firenze senza neppure accorgersene. Era da un bel pezzo che non faceva una sosta segreta in quella città e, dato che doveva essere ormai giunta la notizia della sua partenza da Venezia, decise che si sarebbe fatto vedere, avrebbe spillato qualche soldo a Giuseppe, avrebbe dato un'occhiata a Stefano e sarebbe ripartito per ritornare forse mai.
Il destino, però, era crudele. Spesso Damiano se l'era figurato come un grosso uomo vestito d'oro che puntava il dito a caso su un poveretto e gli rovinava l'esistenza. Mai aveva pensato che un giorno quel dito si sarebbe puntato su di lui e su Stefano, nello stesso momento e sotto forma di un angelo biondo dalle fattezze di donna, detentrice, tra l'altro, del mistero di quel mondo diverso nella cui esistenza Damiano non aveva mai davvero sperato.
Katherine entrò nella sua vita così, come aveva già fatto con Stefano, sulla soglia della villa dei Salvatore, con un sorriso timido e un inchino.
Tutto, da quel momento in avanti, senza che né l'uno né l'altro fratello potesse farci nulla, cambiò.





                                                   FINE




NOTE:Ciao a tutti e buon giovedì sera**
Allora, come sono andate queste settimane? A me praticolarmente bene, devo dire. Questa settimana soprattutto** Causa compleanno e prossimo weekend di festeggiamenti con le mie migliori amiche. XD
Ma, dato che della mia vita comprensibilmente poco vi interessa, passiamo a noi!
Siamo arrivati all'epilogo di questa prima storia tutta incentrata sul passato del Salvatore. Che dire, spero che vi sia piaciuta. Mi rendo conto che è stata una fanfiction diversa da quelle che scrivo di solito, parecchio triste, lo ammetto, ma anche difficile per me da scrivere. Questa, davvero, è stata fino ad ora la più complicata fanfiction che la mia povera mente abbia mai partoritoXD
Vorrei ringraziare tutti coloro che l'hanno letta silenziosamente. 
Ringrazio chi l'ha inserita tra le preferite, le seguite e le ricordate.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e, in particolare, annaterra che con i suoi meraviglisi commenti mi ha sempre fatto sciogliere *.* Tu, donna, sappi che ti lovvo un saccoXD 
Ma no, ma che dico? Io vi lovvo tutti!!!!! <3<3<3<3<3
Tornando seri, però, sapete - perchè mi rendo conto che ve l'ho ripetuto fino alla nausea XD - che questa era soltanto la prima storia di una serie di tre. Perfetto! Quindi, immagino che adesso starete pensando che mi prenderò un pò di tempo e poi tornerò con "Le Porte del Tempo: Presente".
Beh...vi sbagliateXD Dato che, come vi dicevo, questa prima storia è stata particolarmente complicata da buttare giù e già so che altrettanto lo saranno le altre due, per dare un pò di tregua a voi, indomiti lettori, e a me, pazza pseudo-scrittrice, ho deciso di intervallare "Le Porte del Tempo: Passato" e "Le Porte del Tempo: Presente" con una storia del tutto nuova e molto, ma molto più leggera il cui titolo, già deciso, sarà "Teorema". Non so quanto sarà lunga, ma sarà abbastanza sulla falsariga di "Se io, se lei! Se io, se lui!" per quanto riguarda la leggerezza e - udite udite - in questa nuova ff, per la prima volta almeno per me, saranno tutti umani. 
Se ve lo state chiedendo: si, il titolo (Teorema) l'ho preso dalla canzone. U.U 
Avete presente "Prendi una donna e dille che l'ami" bla bla bla e poi "Prendi una donna e trattala male" bla bla bla? Ecco! Quella canzone là mi ha dato l'idea. XD
Vabbè, adesso vado che ho delirato anche troppoXD Ringrazio ancora tutti e vi aspetto tra un mesetto circa (per la fine di novembre, l'inizio di dicembre massimo) con la nuova fanfiction "Teorema"!
A presto....BACIONI...IOSNIO90!!!


venerdì 12 ottobre 2012

"Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 9

Estranei

"Stefano!" - la voce di Giuseppe risuonò per l'intera villa.
Poco dopo la porta della camera del ragazzo si spalancò rivelando la figura alta dell'uomo.
"Figliolo? La carrozza è già pronta, se non ci affrettiamo, finiremo con l'arrivare in ritardo alla festa in onore del fidanzamento della giovane Cecilia e non sarebbe educato, soprattutto da parte tua."
Stefano, seduto al suo scrittoio, si voltò a guardare il padre e annuì.
"Avete ragione. Arrivo tra un attimo, devo soltanto annotare brevemente una cosa." - spiegò.
Giuseppe sospirò e gli intimò con lo sguardo di sbrigarsi, dopodichè si richiuse la porta alle spalle e marciò via lungo il corridoio.
Stefano allora intinse la penna d'oca nell'inchiostro e prese a scrivere.



Caro diario,
sono trascorsi oggi due anni dalla partenza di Damiano ed io ho appena riposto nella solita scatola nascosta nel fondo del mio armadio la ventiquattresima lettera che gli ho scritto, ma non ho mai spedito. C'era scritto il solito, quello che l'ultima volta che abbiamo parlato ho cercato di fargli capire e che vorrei continuare a ripetergli adesso, cioè che voglio che sia felice.
Credo che in fondo lo sappia, però. Mio fratello mi conosce, non penserebbe mai che voglio il suo male perchè sa che non è così. O almeno è questo che mi piace ancora pensare dopo due anni di silenzio.
Mi rendo conto, però, che in parte la colpa è anche mia. Lui conosce me, ma anch'io conosco lui e forse dovevo o dovrei farlo io il primo passo, magari inviandogli una di quelle lettere. Però solo a pensarci provo paura. Ho il timore che si rifiuti ancora di capirmi e che le nostre strade si dividano ancora di più.
A volte mi sento sbagliato, sento sbagliato il nostro rapporto e tutti i pensieri in merito da cui mi lascio affliggere. Mi capita spesso di soffermarmi a guardare il legame che lega alcuni compagni della mia stessa età ai loro fratelli maggiori o minori che siano e mai nulla mi ricorda me e Damiano.
E' facile pensare che sia stata la vita a renderci così indispensabili l'uno per l'altro, che se nostra madre fosse guarita e sopravvissuta alla malattia le cose sarebbero state diverse, ma spesso....non so...ho la sensazione che noi due siamo così perchè siamo diversi e che, in un modo o nell'altro, sarebbe sempre stato quello il legame che ci avrebbe unito. Non so più se è un bene, se è una cosa di cui rallegrarmi. Legami simili portano immense gioie, comprensione totale, la certezza che ci sarà sempre qualcuno sul quale contare, ma portano anche grandi complicazioni, grandi distanze e grandi paure quando le cose non vanno per il meglio.
Mi sento confuso. E' difficile capire cosa fare. L'unica cosa che vorrei è potergli parlare, appianare ogni cosa rimasta in sospeso, dimostrargli che davvero posso essere indipendente da lui e che di sicuro lo sono da nostro padre e vorrei non deluderlo ancora.
Damiano....è fragile...


Qualche ora più tardi, mentre si aggirava tra la folla di nobili radunatisi nella lussuosa villa dei marchesi Venotti alla periferia nord di Firenze, Stefano ripensava ancora alla lettera scritta nel pomeriggio, alle parole che aveva riversato nel suo diario e a suo fratello. Era difficile non pensarci in quel particolare giorno, nonostante si stesse sforzando con tutto se stesso di mostrarsi spensierato e felice per la sua amica e il suo fidanzamento.
Cecilia e Ludovico Venotti si erano conosciuti circa sei mesi prima in occasione di una festa che, solo in seguito, si era scoperto fosse stata organizzata di proposito dai loro genitori nella speranza che si conoscessero e trovassero piacevole l'uno la compagnia e la presenza al proprio fianco dell'altra.
Si diceva, infatti, che entrambi i ragazzi avessero in ogni modo cercato di imporsi sui genitori per evitare un matrimonio combinato e d'interesse, quindi le due coppie di marchesi avevano fatto ricorso ai sotterfugi e quando la cosa era venuta alla luce sia Cecilia che Ludovico avevano già scoperto di provare dei forti sentimenti d'affetto l'uno per l'altra per tirarsi indietro dinanzi alla concreta prospettiva di una vita non soltanto agiata, ma anche felice.
Stefano era contento per lei. Crescendo, infatti, aveva capito che ciò che lo legava alla ragazza era una forte amicizia che all'inizio, per la giovane età e la totale inesperienza sia nei sentimenti sia nel rapportarsi con il sesso opposto, avevano entrambi scambiato per qualcosa di ben più profondo. Lei era stata il suo primo amore, ma si era trattato di un qualcosa di così puro e totalmente innocente che delle volte anche il termine "amore" non gli sembrava adatto. Preferiva definire il loro rapporto come una connessione platonica a livello emotivo. Si erano capiti. Cecilia era stata la prima persona, dopo suo fratello, con la quale aveva sentito di potersi aprire e questo gli aveva insegnato molto, gli aveva fatto capire, sopra ogni altra cosa, che esisteva un mondo al di fuori dei confini della sua villa, un mondo fatto di persone diverse le une dalle altre che valeva la pena incontrare e conoscere. Se adesso si sentiva più forte e sicuro, in un certo senso, lo doveva a lei.
"Ti vedo giù di morale. Non ti è permesso essere giù di morale alla mia festa di fidanzamento."
Cecilia lo sorprese arrivandogli alle spalle. Stefano si voltò a guardarla e le sorrise.
"Hai ragione, scusa. Ancora congratulazioni, a proposito. Sono felice per te." - le disse.
"Lo so che lo sei. E mi piacerebbe poterti dire lo stesso, ma come posso essere felice per te se tu per primo non sei felice? C'è qualcosa che ti angoscia, lo vedo." - si sentì rispondere.
Stefano scosse la testa, ma il sorriso gli morì sulle labbra e si trasformò in una piccola smorfia.
"Dovresti tornare alla festa e non preoccuparti per me."
"Lo farei anche, ma ero venuta per chiederti di ballare con me e adesso c'è un problema: un compagno di danze musone non lo voglio, quindi prima parliamo. Si tratta di tuo fratello? Guarda che lo so che lo so che questo è un giorno strano anche per te, anche se non per i miei stessi bei motivi ovviamente."
Stefano tentò invano di farle cambiare argomento, di convincerla a tornare ai suoi invitati che presto l'avrebbe raggiunta e avrebbero potuto ballare così come lei desiderava, ma Cecilia era testarda quindi alla fine sospirò e cedette, annuendo.
"Hai avuto delle notizie da lui?" - gli chiese.
Stefano scosse la testa.
"No, nessuna notizia. Non da lui direttamente, comunque. Le poche cose che sappiamo ci vengono dette dal marchese Carpin quando riceve notizie da suo fratello lì a Venezia presso cui è ospite Damiano e si lascia sfuggire qualcosa su di lui." - rispose, scrollando le spalle mentre si appoggiava al lungo tavolo imbandito alle sue spalle.
Cecilia afferrò un acino d'uva bianca e lo mangiò distrattamente prima di tornare a parlare.
"Quindi non ha mai risposto neppure a tutte le lettere che gli hai inviato?"
"Lettere? Quali lettere?"
"Quelle che mi hai detto che gli scrivi ogni mese, ricordi?"
Ah! Già! Quelle che era stato costretto a confessarle che scriveva perchè qualche mese prima lo aveva scoperto sul portico della villa mentre rimetteva l'ennesima lettera al sicuro nella sua scatola, ecco quali.
Stefano sospirò nuovamente socchiudendo per un attimo gli occhi.
"No, non ha mai risposto e neppure avrebbe potuto visto che non gli ho mai inviato nulla." - confessò.
Cecilia spalancò gli occhi, per un attimo parve confusa, ma presto si riprese e gli assestò un leggero buffetto su un braccio.
"Non gliele hai mai inviate? E potrei sapere il perchè?"
"Perchè....tu non lo conosci, Cecilia. Probabilmente avrei soltanto peggiorato le cose insistendo a dire ciò che ha travisato e per cui si è sentito tradito due anni fa quando è andato via."
"Oh, ma andiamo, smettila di rendere tutto così difficile!" - lo rimproverò lei - "Và a Venezia e parlaci di persona se temi tanto che possa fraintendere la parola scritta."
"Non vuole vedermi!"
"E tu come fai a saperlo se non ci parli da due anni?"
"Appunto per questo lo so! E poi...non è esattamente vero che non ha mai scritto. L'ha fatto in occasione di tutte le sacre Feste. Mandava un biglietto alla villa e non mancava mai di farci sapere casualmente che non avrebbe potuto raggiungerci e noi nemmeno perchè aveva in programma di partire per questa o quella città e con questo o quell'altro conoscente. Si è tenuto lontano e ha tenuto lontani me e nostro padre. Non vuole vedermi. Se programmassi un viaggio simile e lo avvertissi del mio arrivo sono sicuro che non sprecherebbe tempo e manderebbe subito a dirmi di non partire perchè tanto non lo troverei..." - rispose Stefano mestamente.
Cecilia scosse la testa e gli poggiò una mano su una spalla, delicatemente, ma stringendo appena con le dita per fargli capire che era seria.
"E tu allora non avvertirlo! Arriva di soppiatto e coglilo di sorpresa come ho fatto io poco fa con te. Hai bisogno di parlare con tuo fratello, Stefano? E allora fallo. Punto!"
"Non posso partire così....all'improvviso. E poi non è detto che mio padre sarebbe d'accordo."
"Non cercare di trovare scuse che non esistono solo perchè hai paura di ciò che potresti trovare a Venezia. In questi due anni sei stato un perfetto giovane conte, tuo padre non può negarti il suo permesso perchè te lo deve, perchè ormai sei un uomo capace di prendere le tue decisioni da solo e perchè si tratta di tuo fratello, se vuoi fargli visita è a tua discrezione ed è un tuo diritto."
Stefano alzò gli occhi e li incorciò con quelli incoraggianti di Cecilia.
Per il resto della serata non fece che pensare alle parole della sua amica. Forse lei aveva ragione. Lui indubbiamente sentiva la necessità di poter tornare a parlare con Damiano come faceva una volta, ma era vero che un pò temeva ciò che avrebbe trovato ad attenderlo. Temeva che nulla fosse più come prima. Temeva che suo fratello avesse smesso di considerarlo parte della sua vita così come in passato aveva già fatto con Giuseppe.
Cecilia, però, aveva ragione anche su un'altra cosa: adesso ero un uomo in grado di prendere le sue decisioni e, in quanto tale, doveva anche dimostrarsi capace di affrontare le sue paure.
Aspettò che la festa volgesse al termine prima di parlare della sua decisione con suo padre. Erano in una delle loro carrozze sulla strada di ritorno alla villa quando prese la parola. Era notte, era buio e faceva già freddo. Si strinse nelle spalle e tentò di scaldarsi le mani soffiandoci l'aria calda del fiato.
"Alla festa vi ho visto ridere con un uomo che non mi è mai parso di incontrare in città. Chi era?" - fece, non per vero interessamento quanto più per intavolare un discorso dato il silenzio che regnava.
Giuseppe si ridestò dai suoi pensieri e si voltò a guardare il figlio.
"Ti riferisci di sicuro al barone Von Swartzschild. Era l'unica faccia nuova alla festa." - fece - "Io stesso lo conosco soltanto da qualche mese. E' straniero. Tedesco. Affari di famiglia lo hanno portato a Milano e poi a Firenze dove ci siamo ritrovati a collaborare. E' un brav'uomo. Mi raccontava della sua unica figlia scampata per miracolo alla morte dopo aver passato quasi tutta la vita a letto per la salute cagionevole. Ora sembra essersi ripresa del tutto ed lui era in vena di festeggiamenti."
Stefano prestò giusto quel minimo di attenzione necessaria al racconto del padre. Annuì e abbozzò un sorriso.
"Mi sembra giusto." - convenne.
Temporeggiò ancora qualche minuto, guardandosi le mani e strofinandole tra loro, poi tornò ad alzare gli occhi su suo padre e richiamò la sua attenzione con un leggero colpo di tosse.
"Padre? Ho deciso di partire per Venezia. Voglio vedere Damiano." - disse, infine.
Giuseppe aggrottò la fronte e sospirò.
"Tuo fratello ha sempre fatto intendere chiaramente che non gradisce l'idea di tornare a vederci..." - fece.
"Lo so, ma non mi importa. E' da due anni che non parlo con lui, non ricevo sue notizie...." - rispose - "Prima o poi dovrà pur tornare, lo so, ma non voglio che passi ancora altro tempo prima di rivederlo. E' mio fratello e anche se è lontano fa parte della mia vita e della nostra famiglia. La distanza non deve pregiudicare tutto. Non è giusto che le cose vadano così. Voglio assicurarmi coi miei occhi che sta bene e che ha trovato il modo di essere felice. E' per questo, dopotutto, che l'ho spinto ad andare via."
Suo padre annuì e, mentre la carrozza di fermava alle spalle della loro villa, gli poggiò una mano su una spalla e gli diede una leggera pacca.
"Vedo che sei deciso."
"Si, lo sono." - confermò Stefano.
"E a quando la partenza?"
"Domani stesso. Starò via solo qualche giorno, ve lo assicuro."
Giuseppe sospirò ed annuì nuovamente, ragionevole e stanco.
"Fà preparare subito i bagagli allora." - gli suggerì.
Stefano non se lo fece ripetere e, non appena mise piede in casa, ordinò che un baule grande abbastanza per un breve viaggio di qualche giorno gli venisse preparato. Dopodichè fece convocare uno dei cocchieri, il più giovane tra i due e gli comunicò che il mattino seguente all'aba sarebbero partiti alla volta di Venezia.
Fu un viaggio lungo, ma limitando le soste al minimo indispensabile e spingendo i cavalli alla corsa, Stefano mise piede a Venezia in appena un giorno e mezzo. Il fratello minore del marchese Carpin aveva ricevuto un suo biglietto che lo avvertiva del suo arrivo e lo pregava di non farne parola con Damiano soltanto qualche ora prima, ma lo accolse cordialmente a braccia aperte dicendosi felice che il suo ospite ricevesse la sua visita finalmente ed indicandogli la via per la biblioteca, dove avrebbe potuto trovare suo fratello.
Stefano ringraziò, si scusò educatamente per il poco preavviso e per il disturbo, lasciò che il suo bagaglio venisse portato nella camera che gli era stata fatta preparare in fretta da qualche domestica e poi si avviò lungo il corridoio. A tre metri dalla porta aperta della biblioteca risentì dopo due anni la voce di suo fratello.


"Dovresti smetterla di fare resistenza..."
"Ma...potrebbero vederci. Io non dovrei neppure essere qui."
"Il pericolo rende le cose più allettanti, non trovi anche tu?"
"Damiano!" - la voce della ragazza raggiunse al suo orecchio una nota talmente stridula che Damiano dovette chiudere gli occhi e voltare di poco la testa per assicurarsi che il suo timpano non fosse andato in mille pezzi.
Serena Carpin, la figlia del padrone di casa quasi felicemente in procinto di sposarsi - il "quasi" era d'obbligo visto che il suo futuro marito era sì dotato di un patrimonio estremamente cospicuo, ma anche della stazza di un bue e del cervello di un mulo, il che rendeva la povera ragazza una preda facile per le sue attenzioni e la soddisfazione delle sue voglie - era carina, certo, coi suoi capelli biondi e la sua pelle chiara, ma a lungo andare tendeva ad annoiarlo. Durante i primi tempi del suo soggiorno a Venezia era stato addirittura piacevole e stimolante passare ore ed ore a macchinare modi per sedurla e situazioni in in cui mettere in pratica le sue idee, quantomeno era un buon passatempo nelle giornate vuote, ma a distanza di due anni perdere ancora così tanto tempo gli pareva inutile. Se aveva già ceduto, cadendogli letteralmente tra le braccia molte, moltissime volte, proprio non riusciva a capire che altri problemi si facesse ancora e, soprattutto, perchè pretendeva che lui ascoltasse le sue remore. Le titubanze - a detta di Damiano - Serena doveva farsele venire quando era ancora in tempo, quando aveva ancora una virtù da preservare.
Strinse maggiormente la presa che le sue mani avevano sulla vita sottile di lei e fece per attirarla di più a se, in un ultimo tentativo prima di perdere completamente la pazienza. Lei, in risposta, sorrise timida e voltò la testa dall'altra parte quando lui si sporse per baciarla e allora, alzando gli occhi oltre la sua spalla, Damiano la sentì irrigidirsi.
- Bene! - pensò - Fantastico! E adesso chi è? -
Serena gli diede un piccolo colpetto su un braccio e si divincolò dalla sua presa.
Damiano sospirò e si preparò alla ramanzina del padrone di casa o, peggio ancora, alla prevedibile scenata di gelosia da parte di una qualsiasi delle giovani domestiche che potevano dire di aver goduto delle sue attenzioni almeno per una notte.
Ciò che arrivò, però, non se l'era immaginato e lo spiazzò: la voce di suo fratello.
"Scusate. Non era mia intenzione interrompere nulla." - fece Stefano.
Sempre educato e attento al prossimo lui.
"No, no. No! Non avete interrotto proprio niente. Non c'era nulla da interrompere..." - rispose Serena in tutta fretta per poi scappare letteralmente via dalla porta laterale dalla quale era entrata in biblioteca poco prima.
Damiano, allora, represse ogni cosa, ogni minima sensazione e ogni pensiero causatogli dal risentire la voce di suo fratello e dalla consapevolezza che era arrivato a Venezia per cercarlo e si voltò, stampandosi in faccia un sorriso che esprimeva pura ironia e menefreghismo e che Damiano aveva imparato ad usare alla perfezione per nascondere ciò che si celava, invece, nel fondo dei suoi occhi, cioè quanto in realtà gli importasse,
quanto gli importasse di tutto."Scusala tanto, fratellino, a volte dimostra di non sapere proprio cosa sia l'educazione. Non ha nemmeno lasciato che vi presentassi." - fece.
Stefano scosse la testa e fece qualche passo nella sua direzione, spostandosi dall'uscio della biblioteca.
"Chi era?" - gli chiese.
Damiano scrollò le spalle.
"Serena, la figlia del mio ospite." - rispose.
"La tua fidanzata?"
Ovviamente! Quasi dimenticava che Stefano era troppo buono per non pensare subito che, data la situazione in cui li aveva trovati, lei fosse la sua promessa.
"Assolutamente no!" - esclamò con una leggera risata.
"Allora sei il suo...amante?"
"Le piacerebbe! Io preferisco considerarla come una distrazione abbastanza piacevole nei momenti di noia, ma temo che lei creda davvero di potermi considerare il suo fedele amante. E non c'è da strupirsi, dopotutto Serena è una giovane donna nobile e, si sa, le nobili già impegnate tendono a credere che, non appena si rialzano dal letto di un'altro uomo, questi diventa subito una loro proprietà, il loro amore segreto sul quale possono avere diritti e pretese anche quando non è così."
"Quindi stai soltanto giocando coi suoi sentimenti?" - la nota di sconcerto e forse delusione nella voce di suo fratello, Damiano di certo non se l'era sognata. Nonostante i due anni passati lontani da lui ad evitare ogni tipo di contatto, lo conosceva ancora bene come le sue tasche e quello forse non sarebbe mai riuscito a cambiarlo.
"Sei venuto a farmi la predica, Stefano?"
"No, ma....con dei sentimenti come l'amore penso che non ci si dovrebbe giocare." - gli rispose, più mesto stavolta, quasi timido.
"Ma l'amore è...un gioco." - ribattè - "E comunque chi hai mai parlato d'amore? Io non provo affetto per nessuno e di certo non per lei."
"Non è vero che non provi affetto per nessuno." - fece Stefano.
Damiano sorrise appena mentre si risistemava i capelli leggermente in disordine e i polsini di broccato.
"Un pò presuntuoso da parte tua dire una cosa simile, non credi?" - lo rimbeccò, poggiandogli una mano su una spalla e schivando egregiamente il discorso - "Andiamo a pranzo. Avrai fame."
Damiano guidò suo fratello fino alla porta che dava sul cortile interno della villa e lasciò detto che sarebbe stato fuori tutto il giorno.
Optò per due cavalli invece che per una carrozza. In carrozza non avrebbe potuto estraniarsi come sentiva il bisogno di fare, non con suo fratello sedutogli di fronte. Doveva trovare la giusta calma per affrontare il resto di quella visita che sperava vivamente si sarebbe rivelata il più breve possibile e una cavalcata poteva dargliene l'occasione.
Era da due anni che lavorava su se stesso, reprimendo il senso di colpa che sentiva ogni volta che ripensava alla promessa fatta a sua madre. A suo dire non l'aveva onorata fino alla fine, nonostante Stefano pareva piuttosto certo del contrario. A dire il vero, Damiano non sapeva dire neppure se mai un giorno, anche se avesse continuato a vivere a Firenze, sarebbe riuscito ad onorarla del tutto. Per quanto gli riguardava, suo fratello avrebbe sempre avuto bisogno di qualcuno che gli guardasse le spalle, avrebbe sempre avuto bisogno di lui.
Era logico, no? Lui era il fratello maggiore, guardare le spalle a quello più piccolo era quello che doveva fare.
Non poteva essere davvero lui l'unico a crederlo!
Si sentiva ferito, nonostante fossero trascorsi ben due anni la sensazione che gli fosse stato portato via qualcosa era ancora lì e bruciava ancora. Però si era reso conto che forse all'epoca aveva sbagliato ad addossare tutta la colpa a Giuseppe ed aveva cominciato ad addossare la maggior parte di colpa a Stefano che aveva voluto allontanarlo....per cosa? Per il suo bene? Come poteva pretendere di fare il suo bene ferendolo?
Damiano non era un'ipocrita, non troppo almeno. Nonostante ciò che aveva detto poco prima, sapeva di aver mentito. Era vero che non provava assolutamente niente per quell'ingenua di Serena, ma teneva ancora molto a suo fratello  anche se l'orgoglio era più forte e lo spingeva a non ammetterlo. Un giorno, forse, ci sarebbe riuscito di nuovo. Un giorno, forse, avrebbe confessato che lui a Firenze ci era tornato spesso, da solo, in segreto, così come era partito, per osservare tutto da lontano così come si era ripromesso di fare. Un giorno, forse, sarebbe anche riuscito a confessare che in quei due anni, persino mentre era Venezia, a dispetto della lontananza, non aveva fatto altro che continuare a tenere d'occhio Stefano, concentrando ogni sua forza e risorsa lì, nell'unica cosa che sapeva fare bene e che sentiva essere sua, il suo compito, la sua natura, la sua priorità.
Il resto, la sua vita, il tempo che gli rimaneva quando non era impegnato a vegliare su suo fratello lo utilizzava per "rendersi felice". Dopotutto doveva essere quello lo scopo del suo viaggio, giusto?
Arrivarono presto in una taverna situata presso il più grande porto della città. Non era un posto elegante nè raffinato, ma Damiano lì dentro ci aveva trascorso parecchie serate e notti "felici", quindi perchè non portarci Stefano in modo da mostrargli la sua nuova vita?
Lasciarono i cavalli ad un ragazzino tenuto lì come tuttofare e varcarono la porta, accolti subito dall'odore acre di vino scadente che imbrattava ogni cosa.
Stefano fece per sfilarsi la giacca, ma Damiano lo fermò con un'occhiata.
"Ti consiglio di tenertela stretta se dopo vuoi ritrovarla." - fece.
Avanzarono all'interno fino al solito tavolo all'angolo che Damiano occupava quasi ogni sera prima di recarsi sul retro e gettarsi nel gioco d'azzardo, che aveva scoperto essere un'altra fida fonte di "felicità" se le cose giravano a tuo favore.
"Siediti qui." - disse, agitando la mano in aria affinchè chi era al bancone potesse sapere che era arrivato il momento di servirlo.
Una delle ragazze ammiccanti della taverna gli si accostò e Damiano le afferrò la vita, strattonandola e mettendola a sedere sulle sue ginocchia.
"Chi è lui?" - fece lei - "Ti somiglia molto."
"Il mio fratellino in visita da Firenze. Vedi di tenere a posto le mani che lui è un ragazzo per bene, eh!"
"Ma davvero?"
"Già! Dillo pure alle tue amichette, mi raccomando."
Stefano, nel frattempo, sembrava confuso e smarrito.
La ragazza si spostò leggermente in avanti per sporgersi dal tavolo.
"Non se ne vedono spesso di ragazzi per bene..." - commentò.
Damiano le diede una spinta, pizzicandole un fianco e la rimise in piedi, scostandola con poco grazia.
"Mio fratello è una merce rara che presto tornerà da dove è venuto, giusto Stefano? Dopotutto sei venuto qui per controllare che stessi bene, ho ragione? Per accertarti che fossi felice....Beh! Lo sono. Come potrei non esserlo ora che sono libero di fare qualsiasi cosa mi piaccia senza impiccio alcuno."
Mentre la ragazza andava via, Damiano vide la confusione negli occhi di Stefano aumentare e venire accompagnata da una forte nota di delusione. Non era quella l'accoglienza che si era aspettato, lo sapeva bene. Sicuramente non era neppure quello il fratello che aveva desiderato rivedere, ma, rimanendo a distanza, quella parte di Damiano, la parte che lui stesso aveva sempre cercato di tenere a freno perchè così era meglio per Stefano, era venuta fuori e si era fatta strada senza problemi.
Era timore, era distacco, era autodifesa, il tutto mascherato da una buona dose di veleno e sarcasmo che, a suo dire, lo aiutavano nella vita. Erano in pochi quelli che potevano vantarsi di essere come Stefano - anime buone - e lui di certo non era tra questi. Per lui era troppo facile provare rabbia, rancore, disprezzo per essere un'anima buona. Le anime buone perdonavano, lui non lo faceva, lui si lasciava guidare dall'orgoglio e dal primo istinto che credeva sempre essere il miglior consigliero, cadendo spesso nell'errore e non curandosene.
A conti fatti, forse era stato meglio così, che lui fosse partito per Venezia e che Stefano si fosse allontanato da lui perchè, a lungo andare, corromperlo sarebbe stato facile ed inevitabile. Meglio osservare dall'ombra la bontà di suo fratello senza correre il rischio di intaccarla.
Magari sua madre sarebbe stata contenta ugualmente così.
Lui avrebbe preso ciò che la vita gli avrebbe offerto. Qualsiasi cosa sarebbe andato bene e forse un giorno Stefano avrebbe capito tutto e lo avrebbe accettato, avrebbe accettato il fatto che lui non pretendeva la felictà per se stesso, anzi, a dire il vero, non pretendeva un bel niente.
"Damiano..." - mormorò Stefano - "Ma cosa ti è successo? Questo - tutto questo - non sei tu!"
"Certo che sono io, sono sempre stato io! Prima eri soltanto troppo ragazzino per accorgertene." - gli rispose.
Stefano scrollò la testa.
"Sembri...vuoto." - fece.
Damiano aggrottò la fronte.
"Vuoto, dici? Nient'affatto! Io sono perfettamente soddisfatto di essere dove mi trovo. La mia vita va benissimo, Stefano. Era questo che volevi sapere, no?"
"Io volevo sapere se stavi bene, se eri felice, se..."
"Se, cosa? Cosa vuoi che ti dica? Sto bene! Puoi vederlo tu stesso. Sto pensando a me stesso, come mi avevi detto di fare. Adesso che lo sai puoi anche tornartene a Firenze, no? Non hai nulla da fare qui, fratellino, fidati."
"Ma...se stai bene allora perchè non vuoi tornare a casa, non ci scrivi mai nulla, non ci fai sapere niente di te?"
"Forse perchè non mi va? Forse perchè mi sono finalmente scrollato Giuseppe di dosso e voglio vederlo il meno possibile? Forse perchè...com'era che dicevi? Adesso sei cresciuto e posso lasciarti libero di vivere la tua vita da solo mentre io vivo la mia?" - rispose Damiano - "Non voglio litigare con te, Stefano, non mi interessa minimamente farlo. Se voi restare ancora qui, fai pure. Sappi soltanto che da me non otterrai più di quello che hai già ottenuto adesso. Ti ho detto che va tutta meravigliosamente e tant'è." - continuò - "Mi dicesti di andarmene da Firenze e l'ho fatto, adesso sono qua e seguo le tue direttive, non puoi sconvolgerti tanto se le cose sono andate diversamente da come avevi immaginato. Io non avevo bisogno di allontanarmi da Firenze. Lì avevo un mio posto, un mio ruolo, ma tu hai voluto che ci rinunciassi e va bene, adesso la mia vita a Venezia mi va bene. Vedi di non impuntarti su problemi e questioni che non esistono. Non siamo una famiglia perfetta, non lo saremo mai. Rassegnati!"


Stefano trascorse altri due giorni a Venezia, ma, esattamente come Damiano gli aveva detto in quella loro prima discussione, restare lì non era servì a nulla. All'inizio era convinto più che mai che suo fratello avesse qualcosa che non andava, poi pian piano si era lasciato persuadere dall'idea che forse non lo conosceva più tanto bene come in passato. Forse lui era cambiato. Forse Damiano era cambiato. Forse tutto era cambiato e doveva farsene una ragione benchè fosse difficile anche soltanto pensarci.
Rimise piede a Firenze a distanza di sei giorni dalla sua partenza e Giuseppe lo accolse con un sorriso, rimandando a dopo qualsiasi domanda sul viaggio soltanto per poterlo informare subito di una questione che gli stava molto a cuore.
"La sera prima che partissi ti ho parlato del barone Von Swartzschild e di sua figlia, ricordi?  Beh...dal momento che il barone è costretto a lasciare di nuovo l'Italia per degli affari nonostante sua figlia avesse espresso il desiderio di fermarsi ancora un pò qui, ho acconsentito affinchè la ragazza venga a stare alla nostra villa per tutto il tempo che suo padre impiegherà per ritornare dal suo viaggio. E' davvero una cosa positiva che tu sia tornato oggi, Stefano, così avrai tutto il tempo di riposarti per l'arrivo previsto per domani in mattinata della giovane Katherine."








NOTE:
Ciao a tutti e buon venerdì sera!!!**^^
Eccomi qui con il nono capitolo appena finito. Vi dico subito che non sono esattamente convintissima del risultato, ma ormai questa è storia vecchia visto che non sono esattamente convinta del risultato di ogni captolo di questa storia.XD E' cortina, ma è stata veramente difficile riuscire a scriverla, mannaggia a me e alle mie idee contorteXD
Allora....che dire....
Ormai ci siamo. Il prossimo capitolo sarà l'epilogo. Vi avevo avvertito che Katherine l'avrei soltanto accennata alla fine perchè, ripeto, la sua storia con i due fratelli la conosciamo tutti fino alla nausea, non mi pareva il caso di mettermi a riscriverla.XD
Sul capitolo non ho molto da dire, serviva essenzialmente per mostrare le conseguenze della lite dello scorso capitolo e Damon che comincia ad assomigliare sempre più al vampiro che diventerà tra non molto ormai.
Che ne pensate?
Ringrazio coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo.
In occasione dell'epilogo, come sempre, non posterò nessuno spoiler quindi ci "rivediamo" direttamente tra due settimane qui su EFP.
A giovedì 25 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!








lunedì 8 ottobre 2012

Spoiler "Le Porte del Tempo: Passato" - Capitolo 9

"Stefano!" - la voce di Giuseppe risuonò per l'intera villa.
Poco dopo la porta della camera del ragazzo si spalancò rivelando la figura alta dell'uomo.
"Figliolo? La carrozza è già pronta, se non ci affrettiamo, finiremo con l'arrivare in ritardo alla festa in onore del fidanzamento della giovane Cecilia e non sarebbe educato, soprattutto da parte tua."
Stefano, seduto al suo scrittoio, si voltò a guardare il padre e annuì.
"Avete ragione. Arrivo tra un attimo, devo soltanto annotare brevemente una cosa." - spiegò.
Giuseppe sospirò e gli intimò con lo sguardo di sbrigarsi, dopodichè si richiuse la porta alle spalle e marciò via lungo il corridoio.
Stefano allora intinse la penna d'oca nell'inchiostro e prese a scrivere.




Eccomi qui con lo spoiler!!!
Questo nono capitolo è l'ultimo prima dell'epilogo e descrive la situazione che si è creata dalla scorso capitolo con un salto temporale di due anni che porta i due fratelli all'età giusta, cioè quella che hanno alla loro trasformazione in vampiri, e quindi ad un passo da Katherine.
Che dire....vedremo la vita di Stefan, vedremo la vita di Damon e ci sarà un incontro tra i due e vedremo come sarà.
Vi dico che il capitolo si intitola "Estranei" quindi potete già cominciare a trarre le vostre conclusioni.XD
ALLA PROSSIMA...BACIONI...IOSNIO90!!!