Frattura
"No! Assolutamente no!" - era da ore che Damiano
non faceva che ripetere sempre la stessa cosa, sin dalle prime luci
dell'alba quando aveva raggiunto suo padre nel suo studio prima che
facesse in tempo ad uscire di casa solo per potergli ribadire il suo
categorico rifiuto.
Da dieci giorni non faceva altro che pensare e ripensare all'imposizione
di Giuseppe, al fatto che aveva deciso, in un improvviso quanto
sospetto lampo di interesse per le sue sorti, di spedirlo
all'università, un'università un bel pò lontana
dalla loro villa, dalla loro vita e dalla vita di Stefano.
Damiano non riusciava a non vederci una cospirazione dietro tutto
ciò. In altre circostanze sarebbe stato ben felice di lasciare
la casa paterna per cominciare a vivere il mondo così come aveva
sempre voluto, ma qualcosa continuava a non tornargli e, dopotutto,
capitava davvero raramente che qualcosa gli fosse chiara delle azioni
di suo padre e delle motivazioni che le dettavano.
Per quanto gli riguardava era completamente da escludere che Giuseppe
avesse preso a cuore il suo futuro e che avesse preso quella decisione
soltanto per il suo bene, doveva esserci qualcosa sotto e quel
qualcosa, Damiano ci si sarebbe giocato le mani, doveva per forza avere
a che fare con suo fratello e con chissà quali progetti Giuseppe
aveva in serbo per lui.
Suo padre aveva rinunciato ormai da tempo a qualsiasi piano avesse mai
avuto nei suoi riguardi, ma con Stefano aveva trovato terreno fertile.
Si era ritrovato davanti ad un ragazzo che non gli serbava tutto il
rancore che gli serbava lui, che ancora lo considerava un padre magari
addirittura capace di amare i propri figli e che sarebbe stato disposto
anche a passare oltre ad anni ed anni di indifferenza e torti pur di
allacciare un rapporto con lui, il tutto a causa di una naturale indole
mansueta che Stefano aveva ereditato da Margherita e che nulla aveva a
che fare con quella ben più combattiva che era la sua.
Damiano credeva molte cose di suo padre, ma di certo non aveva mai
pensato che fosse un'idiota, indi per cui gli veniva facile pensare che
Giuseppe si fosse fatto un calcolo ben preciso di come, da quel giorno
in avanti, avrebbe voluto che la vita di suo fratello si svolgesse.
Sicuramente voleva inserirlo a pieno titolo negli affari di famiglia
per poi trovargli una ragazza docile e carina con la quale fargli
contrarre un matrimonio che avrebbe giovato alla loro famiglia e a
quella della prescelta, così come si confaceva ad ogni giovane
uomo del rango di Stefano.
L'unico ostacolo, quindi, era lui e Damiano credeva che Giuseppe avesse calcolato anche questo.
Lui che si era sempre battuto per suo fratello non avrebbe mai
accettato che finisse col diventare soltanto un'altra ruota del carro
trainato da Giuseppe, uno dei tanti ingranaggi che serviva soltanto a
mantenere alto l'onore della famiglia anche a discapito della personale
felicità. Si sarebbe messo in mezzo, avrebbe fatto in modo che
Stefano capisse una volta per tutte che non era il loro astuto padre a
dovere decidere del suo destino, ma che poteva benissimo farlo da solo,
scegliere ciò che più lo avrebbe reso felice e che se
Giuseppe davvero desiderava far parte della sua vita, allora lo avrebbe
aiutato e accettato lo stesso.
Ma tutto questo Giuseppe non poteva permetterselo, quindi aveva deciso
di tentarlo offrendogli l'occasione che lui aveva sempre desiderato di
avere: una vita lontana da lui con l'opportunità di decidersi in
autonomia la strada che più avrebbe voluto percorrere senza
alcuna interferenza paterna. Questo, ovviamente, con la speranza che
lui dicesse di si e che gli lasciasse via libera con Stefano.
Nella mente di Damino il ragionamento era semplice e lineare.
"La mia è una decisione definitiva, Damiano, non ho alcuna
intenzione di tornare sui miei passi. Domani lascerai questa casa. Il
fratello del marchese Carpin ti aspetta a Venezia dove ti
ospiterà per tutto il tempo necessario fino alla fine dei tuoi
studi, qualsiasi argomento essi trattino. I tuoi bagagli saranno
ultimati in mattinata e verrano spediti già tra qualche ora. In
quanto al denaro, ne avrai a sufficenza e te ne arriverà una
consistente quota ogni venti giorni. E' deciso. Come vedi è
già tutto pronto." - gli rispose Giuseppe, con un'irritante nota
di calma e indifferenza nella voce, mentre era intento a rileggere
sommariamente qualche documento pieno zeppo più di numeri che di
parole.
"Ovviamente! Peccato che io non ho alcuna intenzione di lasciare questa casa!" - si ostinò Damiano.
Giuseppe scosse di poco la testa e gli lanciò un'occhiata, fermandosi in piedi alle spalle della sua grossa scrivania.
"Eppure pensavo che ci saresti andato a nozze con l'idea di andartene da qui."
"E sarebbe anche così, se questo non significasse lasciare Stefano nella tue mani!"
"Questa discussione non riguarda tuo fratello, ma il tuo futuro." - obiettò Giuseppe.
"Certo che riguarda Stefano! Riguarda sempre Stefano. Ho promesso alla
mamma che l'avrei protetto, che avrei fatto in modo che fosse felice."
Damiano tacque, lasciando spazio soltanto al silenzio per diversi
minuti. Giuseppe lo fissava con gli occhi socchiusi, come a
rimproverarlo per il fatto che avesse appena violato uno delle sue
più ferree regole: mai parlare di Margherita in sua presenza.
Un regola, quella, che Damiano fin da bambino odiava più di
tutte le altre messe insieme, una regola che da sola era bastata, nel
momento in cui era stata stabilita per la prima volta ad alta voce, a
far scattare quel disprezzo che da allora aveva preso ad associare
sempre alla figura di suo padre.
"Avete un piano per Stefano, un piano che non mi piace." - riprese.
"Non ho nessun piano per tuo fratello, non essere paranoico adesso."
"Volete farlo diventare come voi." - quelle parole, dette da Damiano, sembrarono un'accusa bella e buona.
Giuseppe lo trafisse con lo sguardo. Damiano gli restituì il
favore. In quel momento i suoi occhi neri erano più scuri del
solito, senza alcuna luce ad illuminarli dall'interno, un'unico insieme
di determinazione e sfrontata aggressività.
"Voi volete manipolarlo." - continuò.
Giuseppe lasciò cadere i fogli che ancora teneva stretti e battè con forza le mani sul legno duro della scrivania.
"Mi dipingi come un mostro! Io sono vostro padre!" - urlò, perdendo tutta la compostezza che era solito sfoggiare.
"Sulla carta, ma non vi siete mai comportato come tale. Da quando la
mamma ci ha lasciati voi non avete fatto altro che delegare tutto
ciò che riguardava me e Stefano a qualcun altro. Prima la balia,
poi il precettore...non avete mai mostrato il minimo interesse per noi
e adesso pretendete di decidere del nostro futuro spacciandovi per un
padre che ha davvero a cuore l'avvenire dei suoi figli! Io e Stefano
siamo cresciuti da soli!"
"Io ho sofferto...per la morte di mia moglie!" - fece Giuseppe in risposta.
"Noi eravamo dei bambini e l'abbiamo vista morire. Voi avreste dovuto
sostenerci, avrete dovuto starci accanto e non lo avete fatto. Adesso
non avete alcun diritto di lamentarvi perchè io non riconosco in
voi più alcuna autorità paterna nè alcun nobile
sentimento celato dietro le vostre azioni. Sono cresciuto senza l'aiuto
di nessuno avendo a cuore solo Stefano, solo la promessa fatta a mia
madre. Mi sono occupato solo di mio fratello, lasciando che la mia vita
fosse completamente votata alla felicità che avevo giurato che
lui avrebbe conosciuto."
"Damiano....sto cercando di occuparmi di te. Prova a credermi."
"Voi non me lo porterete via! Io non ve lo lascerò fare!"
"Damiano!"
Il richiamo di suo padre lo raggiunse quando già aveva lasciato
la stanza e si era avviato a grandi passi lungo il corridoio.
Si sentiva completamente fuori di se. E messo alle strette. Più di ogni altra cosa si sentiva messo alle strette.
Il pensiero che ci fosse la remota possibilità che Giuseppe si
stesse realmente dando da fare per lui non riusciva minimamente a farsi
strada nella sua testa, inondata com'era dall'unica idea che suo padre
fosse solo un usurpatore.
Ancora una volta, riusciva a formulare un unico ragionamento: Giuseppe
all'epoca della morte di Margerita non aveva saputo come affrontare la
cosa e aveva lasciato i suoi due figli da soli, rimanendo a guardare
distrattamente negli anni mentre lui, il maggiore, prendeva in mano le
redini della situazione e aiutava se stesso e suo fratello a crescere,
a costruirsi una vita. Infine, adesso che sia lui che Stefano erano
diventati abbastanza grandi da non avere più bisogno
costantemente di una guida paterna, Giuseppe aveva deciso di infilarsi
nel mezzo, cercando di mostrarsi pentito tramite stupide paroline e
stupidi gesti, con la pretesa di fare il padre adesso che la parte
più dura del crescere due figli che avevano dovuto affrontare
una perdita simile in così giovane età era passata.
Damiano era convinto che Giuseppe volesse mandarlo via perchè
sapeva che lui non avrebbe mai abboccato e perchè sapeva anche
che Stefano, nonostante fosse in grado di perdonargli qualsiasi cosa al
suo primo accenno di pentimento, non avrebbe mai dato retta soltanto a
lui benchè fosse il padre, ma avrebbe continuato a fare
affidamento anche e soprattutto sull'unica persona che gli aveva sempre
badato, cioè Damiano.
Doveva essere così. Non poteva esserci altra spiegazione. Doveva essere per forza così.
Il grande orologio a pendolo esposto in salotto battè le due di
notte quando Stefano realizzò che, preso com'era dai suoi
pensieri, oramai era impossibile che riuscisse ad addormentarsi
tranquillo e a riposarsi per ciò che lo attendeva la mattina
dopo.
Si era ripromesso che si sarebbe stampato in faccia un bel sorriso nel
salutare Damiano in partenza per l'università e non poteva
permettersi di non rispettare quel giuramento fatto a se stesso. Un
pò per lui, un pò per suo fratello.
Nonostante lo sbigottimento iniziale causato dalla notizia, in quei
dieci giorni Stefano aveva trascorso molto tempo a riflettere ed era
giunto alla conclusione che forse era un bene che suo fratello si
allontanasse per terminare i suoi studi. Sapeva che Damiano era molto
preoccupato per cosa ne sarebbe stato di lui una volta rimasto solo, ma
Stefano era più che convinto che fosse giunto il momento, per
suo fratello, di cominciare a pensare un pò più a se
stesso che a lui.
Lui sarebbe stato bene. Era cresciuto, aveva imparato molte cose,
spesso proprio da Damiano stesso. In definitiva: poteva farcela. E
passare del tempo da solo con suo padre non credeva potesse causargli
poi tanto danno. Insomma, era pur sempre di suo padre che si stava
parlando!
Conosceva da sempre l'opinione che Damiano aveva di Giuseppe, ma
Stefano non poteva fare a meno di credere che un'opportunità,
soprattutto adesso che Giuseppe sembrava desideroso di guadagnarsela,
gliela si poteva concedere.
Suo padre era un uomo, quindi sbagliava. Non era perfetto, ma era tutto
ciò che avevano. Disprezzarlo per le azioni compiute in passato
non avrebbe portato a nulla; al contrario, provare a dargli un
pò di fiducia, voltando le spalle a ciò che era stato e
volgendo lo sguardo al futuro, forse un giorno avrebbe dato dei
risultati positivi, forse addirittura quel piccolo atto di perdono e
comprensione avrebbe restituito loro una famiglia vera, unita.
Stefano non credeva che tutto ciò fosse soltanto pura utopia,
anzi si era convinto che con un pò di buona volontà da
parte di tutti fosse un qualcosa di fattibile, di realizzabile.
Per questo motivo aveva messo da parte ogni sua lamentela, ogni dubbio
ed ogni attacco di tristezza per il fatto che presto non avrebbe
più avuto il supporto dato dalla presenza costante di suo
fratello nella sua vita e aveva provato a mettersi l'anima in pace, a
guardare la cosa da un punto di vista diverso, più maturo.
Li aveva ascoltati i litigi tra suo padre e suo fratello che avevano
fatto da sottofondo alla vita della villa per i dieci giorni
precedenti, sapeva che l'unico motivo per cui Damiano si ostinava tanto
a combattere era lui. Si sentiva in colpa per questo ed anche un
pò a disagio.
Negli anni Damiano aveva ricoperto per lui non soltanto il ruolo di
fratello maggiore e di questo gli era grato, ma adesso che gli anni
erano passati Stefano cominciava a sentirsi un peso ingombrante
sulle spalle di suo fratello, un peso che non gli permetteva di andare
avanti, di guardare oltre quel ruolo che sì ricopriva nella sua
vita, ma che non doveva essere l'unica cosa che per Damiano avesse
senso ed importanza.
Si sentiva in debito con suo fratello di tutta quella serenità,
di quella felicità che crescendo gli aveva donato. Per ripagarlo
doveva lasciarlo libero, libero di vivere la sua vita così come
voleva. Era la libertà - libertà dalle restrizioni, dai
compromessi, dalle imposizioni, dalle regole - il miglior dono che
potesse fare a Damiano.
Stefano, che conosceva la vera indole del fratello, spesso si era
ritrovato a pensare che Damiano, per la persona che era e per le idee
che aveva, fosse nato nel secolo sbagliato o magari solo nel luogo
sbagliato. Forse, con un interno mondo di possibilità ai suoi
piedi, con un intero mondo in via d'espanzione da conoscere e scoprire
e senza più le costanti preoccupazioni date dal suo fratellino,
Damiano sarebbe riuscito a trovare, da qualche parte, un angolo di quel
mondo fatto su misura per lui, in cui poter essere nient'altro che se
stesso.
Stava ancora parlando con se stesso quando la sua attenzione venne
attirata da un rumore sordo molto simile a quello di passi leggeri e
strascicati proveniente dal corridoio.
Si irrigidì ed i suoi sensi scattarono tutti in allerta quando
la porta della sua camera venne socchiusa leggermente e il fascio di
luce di una candela illuminò una lunga striscia di pavimento.
Chi poteva essere a quell'ora della notte?
Ogni sua impovvisa paura si placò soltanto nel momento in cui
ascoltò e riconobbe la voce che prese a pronunciare il suo nome
dall'oscurità oltre la porta dopo un lungo attimo di silenzio
angosciante.
"Stefano! Stefano! Stefano, sei sveglio?" - il sussurro di Damiano era frettoloso e concitato.
Tirò fuori completamente la testa dalle coperte e scattò a sedere, annuendo.
Damiano allora entrò nella camera e si richiuse subito la porta
alle spalle. Stando attento ad ogni minimo rumore, portò la
candela che reggeva in mano accanto allo scaffale dove riposavano
spenti i candelabri della camera di Stefano e ne accese un paio.
"Damiano? Che succede? E' notte fonda!" - fece Stefano.
Suo fratello non gli rispose, ma spalancò le ante del suo
armadio, ne tirò fuori un grosso baule e cominciò a
ficcarci dentro tutti gli indumenti su cui riusciva a mettere le mani.
Afferrò anche il suo diario dal cassetto in cui lo riponeva e lo
mise insieme al resto.
Stefano cominciò ad agitarsi.
"Damiano! Rispondimi, per favore, si può sapere che sta succedendo?" - chiese ancora.
Damiano afferrò con una mano la vestaglia che teneva ripiegata ai piedi del letto e gliela lanciò.
"Alzati e vestiti. Alla svelta! E non fare rumore! Non deve sentirci nessuno." - lo istruì.
Stefano spalancò gli occhi, ma afferrò la vestaglia e se
la infilò, mentre scendeva dal letto e raggiungeva suo fratello.
Un terribile pensiero circa le intenzioni di Damiano gli si
formò nella mente.
"Damiano..." - provò a chiamarlo.
"Bravo! Ti sei alzato. Adesso và a vestirti, coraggio." - lo
incitò, afferrandolo per le spalle e spingendolo più in
la, verso lo specchio, mentre prendeva a cercare scarpe e camicie da
aggiungere a ciò che già era finito disordinatamente in
quel baule.
Stefano non si mosse.
"Sei ancora lì? Ti ho detto di fare in fretta. Forza!"
"Perchè? Perchè dovrei vestirmi a quest'ora della notte? E perchè stai facendo tutto...questo?"
"Smettila di lamentarti! Fà come ti ho detto!"
"Perchè?" - pretese Stefano.
"Perchè ce ne andiamo. Ecco perchè! Contento? Adesso muoviti."
Stefano scosse la testa e abbassò lo sguardo.
Suo fratello....sembrava fuori di se, non lo aveva mai visto in quelle
condizioni, così poco ragionevole poi. Ciò che voleva
fare era una follia, non se ne rendeva conto?
Damiano diede un'ultima occhiata al baule e lo chiuse prima di tornare a fissarlo, con gli occhi lucidi d'impazienza.
"Stefano ti ho detto di--"
"No!"
"No?"
"Non verrò con te. Non ce ne possiamo andare. Io non posso venire con te!" - disse.
Damiano scosse la testa.
"Non hai la minima idea di ciò che stai dicendo..." - gli rispose.
"No, sei tu che non hai la minima idea di ciò che stai facendo, invece!" - ribattè Stefano - "Cosa vuoi? Che noi due fuggiamo dalla casa di nostro padre? E' una pazzia!"
"Vuole dividerci!" - obiettò Damiano - "Vuole spedirmi a Venezia
cosicchè possa avere campo libero per manipolare la tua vita.
Vuole farti diventare come lui, togliendoti ogni libertà di
scelta. Vuole prendere il mio posto. Vuole tenerti lontano da me!"
Stefano si fece avanti, un pò timoroso di fronte a tanta
ostilità, ma riuscì a poggiargli entrambe le mani sulle
spalle. Benchè avessero tre anni di differenza, ormai avevano
raggiunto più o meno la stessa altezza.
"Damiano, è di nostro padre che stai parlando, non di un mostro.
Hai mai provato a pensare che forse si è reso conto degli errori
che ha commesso in passato e sta cercando di sforzarsi per riuscire a
fare la cosa più giusta per il tuo futuro? Pensaci! Vuole che tu
vada a Venezia perchè sa quanto tu hai bisogno di sapere di
poter prendere le tue decisioni senza nessuna influenza esterna. Ti ha
concesso di poter studiare qualsiasi cosa tu voglia per poter
intraprendere qualsiasi strada tu scelga, che sia anche all'opposto
della sua. Ci sta provando veramente, me lo sento!"
Damiano scosse la testa e sfuggì alla sua presa, distogliendo lo
sguardo e facendo un passo indietro, con le braccia incrociate al petto.
"Tu sei troppo buono, Stefano. Vedi il bene ovunque. Ti fidi troppo." - gli disse.
"E se non fossi io quello che si fida troppo? Se, invece, fossi tu quello che si fida troppo poco? Non siamo noi due contro il mondo intero, non c'è marcio ovunque."
Suo fratello tornò a guardarlo. Aveva il respiro corto e una profonda ruga gli segnava la fronte aggrottata.
"Tu vuoi che io me ne vada? Vuoi che ti lasci da solo?" - gli chiese, nella sua voce Stefano riconobbe incredulità.
"No è questo il punto. Non si tratta più di me, ma di te.
Ti sei dato tanto da fare per darmi una vita degna di questo nome, una
vita felice, che spesso penso che tu, per occuparti di me, abbia
trascurato te stesso e non è giusto. Anche tu meriti la tua dose
di felicità e se lasciare questa casa, lasciare me, ti
aiuterà ad ottenerla....allora si, voglio che tu insegua il tuo
desiderio di libertà, voglio che tu lasci Firenze, lasci ogni
incombenza che riguardi la mia buona crescita a me e a nostro padre per
fare quello che ti riesce meglio: scoprire ciò che è
nascosto dietro l'angolo e che ancora non conosci. Voglio che provi a
pensare soltanto a te stesso per una volta e a vedere che succede!"
Stefano aveva parlato col cuore, mettendoci l'anima in ogni parola da
lui pronunciata, ma ciò che gli parve di scorgere negli occhi
tumultuosi di suo fratello non era ciò che si era aspettato di
vedere quando aveva cominciato quel discorso.
"Già parli come lui!" - lo accusò - "Non si tratta di te?
Certo che si tratta di te! Per quanto mi riguarda si è sempre
trattato di te. Tu non puoi volere che io vada via perchè io non
posso andarmene, lo capisci? Io devo proteggerti, devo assicurarmi che
tu stia bene. E' questo il mio compito. E' questo ciò che
faccio, ciò che ho sempre fatto, giorno dopo giorno, negli
ultimi dodici anni. Non potete portarmelo via. Non potete pretendere
che io lasci perdere tutto adesso e semplicemente....pensi al mio futuro. Non esiste. E' al tuo
futuro che devo pensare. L'ho promesso a nostra madre e l'ho promesso a
te il giorno del suo funerale. Ti ho promesso che non me ne sarei mai
andato, come puoi non ricordartelo? Me l'hai chiesto tu!"
"Me lo ricordo! Mi ricordo tutto! Ma tu non capisci! Non è
così che devi vivere. Proteggere me non può essere
l'unica cosa che conta. Io ormai sono cresciuto, posso cavarmela, me lo
hai insegnato tu stesso. Adesso devi preoccuparti della tua vita! Hai
fatto un ottimo lavoro con me, ma è arrivata l'ora che tu la
smetta di combattere per me e cominci a combattere per te stesso, per
trovare il tuo posto nel
mondo. Quando nostra madre ti ha chiesto di farmi conoscere cosa
significava essere felici, sono convinto che non volesse che, per
onorare una simile promessa, tu mettessi da parte te stesso. Ed io ti
ho chiesto di non andartene mai, è vero, ma noi siamo fratelli,
siamo sangue dello stesso sangue, non importa quanta distanza fisica ci
sia tra di noi, ci saremo sempre l'uno per l'altro."
Un pesante silenzio travolse entrambi. Stefano si ritrovava stanco e
spostato dopo tutto ciò che si erano detti. Per un attimo, un
attimo solo, si permise di distogliere lo sguardo da suo fratello per
farlo volare ad una delle candele accese, la cui fiamma aveva
improvvisamente preso a tremolare come conseguenza ad uno spiffero
d'aria causato dalla lenta chiusura di una delle ante del suo armadio.
"Quindi tu vuoi che io me ne vada." - concluse Damiano.
Stefano tornò a guardarlo e annuì, una sola volta, con serietà.
"Si, voglio che tu vada via." - confermò.
Damiano prese un respiro, diede un piccolo colpo con un ginocchio al
baule che giaceva lì, ricolmo di cose ai suoi piedi, poi gli
voltò le spalle e si diresse alla porta, fermandosi solo per
riprendere la candela con la quale era entrato.
"Damiano?" - Stefano lo fermò mentre faceva leva sulla maniglia
per poter uscire - "Tu hai capito, vero, il perchè? Hai capito
il motivo per il quale io voglio che tu vada a Venezia, giusto?"
Damiano restò immobile per parecchi istanti, fermo sulla soglia della porta, dandogli le spalle.
Stefano, in cuor suo, desiderava soltanto che si voltasse e che gli
dicesse di non preoccuparsi, che alla fine aveva compreso le sue
ragioni.
Damiano non si voltò. Non si voltò nè gli rispose.
Lasciò la stanza.
Sentiva di aver perso.
Non appena Giuseppe gli aveva detto che presto sarebbe partito, Damiano
aveva cominciato a lottare perchè sapeva che se fosse andato via
qualcosa gli sarebbe stato strappato, ma quella sera, faccia a faccia
con Stefano, era stato come se quel qualcosa gli fosse già stato
portato via prima ancora che lasciasse quella casa.
Quel qualcosa di così tanto indefinito era il suo ruolo tra
quelle mura, il suo ruolo nella vita di Stefano, l'unica vita di cui
gli era mai importato qualcosa, effettivamente.
Cosa gli rimaneva senza più quel ruolo? In quella villa in cui
aveva l'impressione di essere diventato quello di troppo, quello senza
uno scopo da perseguire, sicuramente non gli rimaneva più nulla.
Salì su quella carrozza quando il sole era soltanto un lieve e
lontano bagliore aranciato e la luna era ancora alta nel cielo e non
dava segno di voler sparire, molte ore prima dell'ora fissata per la
sua partenza.
C'era soltanto lui, lui e il cocchiere.
Disse all'uomo di partire dopo essersi concesso soltanto una breve occhiata alla finestra della camera di suo fratello.
Voleva che se ne andasse e lui lo stava accontentando, ma la promessa
che gli aveva fatto quando erano bambini ancora gli scalpitava nel
petto.
Con o senza il suo consenso, per proteggerlo oppure no, non lo avrebbe lasciato. Mai. Per il resto dei suoi giorni.
Stefano riaprì gli occhi il giorno dopo un paio d'ore prima del
solito. Neppure ricordava quando era riuscito ad addormentarsi,
sapeva soltanto che, dopo che Damiano aveva lasciato la sua camera, si
era messo a letto a fissare le fiamme di quelle candele ancora accese
per non pensare, fino a che probabilmente le palpebre gli erano
diventate pesanti ed aveva ceduto al sonno.
Nonostante avesse dormito poco, però, si era svegliato presto
per assistere agli ultimi preparativi per la partenza di Damiano e per
poter salutare suo fratello ribadendogli brevemente che se voleva che
partisse non era perchè non lo voleva più nella sua vita,
ma che lo desiderava per lui, per il suo avvenire.
Si buttò un pò d'acqua sul viso e si vestì in fretta, precipitandosi al piano di sotto.
A metà scala, però, si era già reso conto che qualcosa non andava.
A quell'ora avrebbe già dovuto essere tutto pronto, con tanto di
carrozza all'ingresso e porta spalancata, ma non c'era niente e non
c'era nessuno.
Si guardò intorno, confuso, poi sentì dei passi e la voce
di suo padre provenire dall'esterno. Si affrettò a raggiungere
una finestra e vide Giuseppe scambiare poche parole con il loro secondo
cocchiere prima di ritornare in casa, sfuggendo al freddo del mattino.
Stefano si accigliò e lo raggiunse.
"Padre! Cosa succede? Dov'è la carrozza? E Damiano? Dov'è
mio fratello? Avrebbe già dovuto essere qui, pronto per il suo
viaggio..." - fece.
Giuseppe annuì e gli posò una mano su una spalla.
"Damiano è già partito." - gli rivelò.
"Cosa? E' impossibile! Io...non ho neppure avuto modo di salutarlo. Perchè nessuno mi ha avvertito?"
"Nessuno è riuscito a salutarlo, Stefano. Tuo fratello è
partito in piena notte" - gli rispose - "Non ti angosciare, vedrai che
statà bene."
Stefano avrebbe voluto davvero seguire il consiglio di suo padre e non angosciarsi, ma non ci riusciva, non poteva.
La notte prima aveva detto a Damiano che loro due non si sarebbero mai
persi, ma proprio quella discussione, la partenza solitaria e notturna
di suo fratello, la freddezza con cui aveva lasciato la sua camera....
Stefano cominciava a non essere più tanto certo di poter credere alle sue stesse parole.
NOTE:
Ciao
a tutti! Ecco qui il nuovo capitolo, l'ottavo. Dopo questo, tra due
settimane ci sarà il nono e poi l'epilogo di questa storia.
Che dire...ve l'avevo detto che, nonostante il titolo, nessuno si rompeva un osso, no?XD
La
frattura, a parte gli scherzi, è ovviamente di tipo diverso, riguarda
il rapporo tra i fratelli, ma la si vedrà maggiormente nel prossimo
capitolo che sarà narrato a due anni di distanza, giusto poco prima
dell'arrivo di una certa vampira.
In questo capitolo, infatti, il
salto temporale è stato di appena dieci giorni, quelli che Giuseppe
aveva concesso a Damon nello scorso capitolo prima della sua partenza.
E alla fine Damon parte.
Insomma,
lo sapevamo che partiva, nel primo libro viene detto chiaramente che
Damon torna alla villa e incontra Katherine dopo essersene tornato a
casa dall'università.
Il fatto interessante, credo, era capire perchè partiva, visto e considerando che sembrava piuttosto deciso a non volerlo fare.
Non
è un bel capitolo per Damon, si mostra immaturo, attaccato alle
promesse che ha fatto prima a sua madre e poi a Stefan e al ruolo che
si è ritagliato negli anni e non vuole lasciare perchè crede di non
avere nient'altro.
Dal mio punto di vista - magari sbaglio, fatemi
sapere voi come la pensate - tra i due, nonostante tutto, quello che
più dipende dall'altro fratello non è Stefan, ma proprio Damon.
Stefan
ha una vita sua, grazie alla sua indole e grazie al fratello è stato in
grado di crearsela abbastanza serenamente. La vita di Damon, invece, mi
è sempre sembrato che ruotasse intorno a quella del fratello. Vuoi per
proteggerlo, vuoi per distruggerlo, Stefan sembra sempre il perchè di
fondo di ciò che Damon fa.
Ma questo è solo un mio pensiero random, eh!XDXDXD
Vabbè...vi lascio.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e/o recensito lo scorso capitolo**
Vi aspetto lunedì 8 ottobre sul blog per lo spoiler, mentre per il capitolo...
A giovedì 11 ottobre...BACIONI...IOSNIO90!!!
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